Nonostante l’esplosione di luci, di colori e addobbi natalizi nelle nostre piazze cittadine, lo scenario politico europeo ed internazionale genera in noi la paura per il futuro e lo sguardo preoccupato si posa sul percorso esistenziale che hanno davanti i nostri nipoti. Una delle ragioni di questa fondata preoccupazione ci porta a riflettere sulla evidente crisi della democrazia liberale in Occidente che – si può identificare nell’insofferenza sempre più diffusa nei suoi confronti – insofferenza che non riesce a trasformarsi nella partecipazione attiva e responsabile, sempre auspicata, ma mai presente concretamente nell’agone politico degli ultimi decenni. Al contrario tale insofferenza sta portando ad un rifiuto della stessa democrazia liberale: quindi coloro che la combattono non sono più quelli che la negano apertamente, ma la grande massa della popolazione che non solo è diventata “indifferente” nei suoi confronti, ma addirittura ha scelto una diversa opzione partitica o maturato “un modo nuovo di sentire” i cui sbocchi sono davvero imprevedibili: gli ultimi avvenimenti politici in Francia e Germania sono il segno eloquente di questa nuova polarizzazione. Molti osservatori politici sono impegnati nella ricerca delle cause di questa dinamica. Già nel 2004 la tesi post-democratica di Colin Crouch – sociologo e politologo britannico, coniando il termine post-democrazia nel suo omonimo libro – affermava che le democrazie avanzate, pur rimanendo di fatto democrazie si avviavano inesorabilmente verso inedite forme di oligarchia. Una delle cause di questa identità perduta è certamente afferente alle nuove tecnologie digitali che hanno consentito ai partiti e politici populisti di sfruttare tale potente mezzo, senza misurarsi – a viso aperto – nelle piazze o nei circoli politici per promuovere suggestioni ideologiche capaci di fermentare partecipazione e protagonismo culturale e politico per coltivare pazientemente l’humus della democrazia liberale. Pertanto il criterio della politica non è più una visione programmatica del futuro della comunità, ma si riduce ad una populistica visione programmatica di breve periodo, senza il respiro di un progetto efficace nel lungo periodo. Papa Francesco nella sua enciclica “Fratelli tutti” è stato un profeta chiaro e lungimirante: “Che cosa significano oggi alcune espressioni come democrazia, libertà, giustizia, unità? Sono state manipolate e deformate per utilizzarle come strumento di dominio, come titoli vuoti di contenuto che possono solo servire a giustificare qualsiasi azione”. In realtà solo i ciechi non si accorgono che la crisi fondamentale della democrazia liberale nasce dalla diffusa prassi di accantonare la sua dimensione “morale” dimenticando che tale dimensione, sin dall’antichità ha accompagnato la riflessione su tale forma di governo. Non va neanche sottaciuta la supremazia della “finanza” sulla fondamentale dimensione “politica” della stessa democrazia. Attualmente, a fronte dell’affanno crescente della dimensione europea della democrazia molti autori sottolineano che “senza il riferimento a valori che la trascendono, la democrazia semplicemente non può reggersi”. L’individualismo si rivela chiaramente come causa della distruzione morale della democrazia. Probabilmente l’approccio comunitario dell’auspicata nuova politica dovrà intercettare risorse e prospettiva afferenti alle famiglie, alla nazione, al popolo e alle sue tradizioni.
Gerardo Salvatore