E’ un omaggio al coraggio delle donne, al desiderio di libertà, più forte di convenzioni e pregiudizi, “Agata del vento” della scrittrice trentina, ma palermitana di adozione, Francesca Maccani, edito da Rizzoli. Ne è un esempio la quindicenne Agata, la protagonista del romanzo, creatura di mare e di terra, pescatrice che ben conosce, come le altre donne dell’isola, i segreti dell’acqua turchese, che è per Lipari salvezza e insieme furore, poichè da quei segreti dipende la loro vita, la capacità di vincere la miseria. Ma Agata, instancabile come il vento, quello stesso vento che domina l’isola e detta le leggi della pesca, e che sembra accompagnare ogni momento cruciale della storia, scoprirà di essere anche una majara, una strega, come nonna Minica, come za Teresa, come Za Bastianu, figure avvolte da un alone di mistero, veri e propri benefattori per la capacità di mettere i propri poteri a disposizione della comunità ma anche temuti perchè espressione di forze irrazionali e incontrollabili. Ben presto l’adolescente Agata, bellissima e sveglia come poche, dovrà fare i conti con la scoperta di una parte di sè che non conosceva, di un dono, che arriva da Eolo, il signore dei venti che a Lipari ha la sua tomba, quello di guarire malattie, dialogare con forze della natura ancestrali, scorgere frammenti di futuro. Bellissima è la descrizione della prima volta in cui i suoi misteriosi poteri emergono con forza, Agata ha visioni, sente gli occhi diventare più sensibili “Di colpo l’aggredirono tutti gli odori dell’isola: non solo quelli delle piante e dei fiori, ma pure quelli della terra e del mare e diversi altri che non aveva mai conosciuto…E poi iniziò a pensare pensieri in una lingua che non era la sua e subito dopo in un’altra, ma lei non riusciva a decifrarli, faticava a capirne il senso, erano troppi e si accavallavano in fretta”.
Una scoperta che la turba, che le fa mettere in discussione ogni cosa e che Agata, malgrado gli ammonimenti della madre, sceglie di mettere al servizio degli altri, aiutando la gente che soffre senza chiedere nulla in cambio. A poco, a poco, comprenderà come usare il suo dono e la sua fama di guaritrice si diffonderà sull’isola ma soprattutto dovrà capire cosa fare della sua vita e come andare alla ricerca della felicità, come trovare il proprio posto nel mondo. Sarà l’amore per un altro pescatore, Tanu, amore che arriva dalle viscere, a tradirla proprio come aveva già tradito la madre, chiusa nel senso di colpa di un segreto inconfessabile, trasformatosi in veleno. Quel veleno che ha costretto il padre Pino a partire per l’Argentina e che Agata teme possa invadere anche il suo corpo se resterà in quell’isola dominata da una cultura patriarcale, da rigide convenzioni sociali, in cui le donne, malgrado il dinamismo e la forza che le caratterizza, non hanno la possibilità di studiare e i matrimoni sono decisi dalle famiglie, l’omosessualità è ancora uno scandalo, come scoprirà Rosario, il fratello che per primo comprende l’ansia di libertà di Agata, in cui chiunque venga da fuori è guardato come un nemico, una possibile fonte di pericolo e l’unica speranza di migliorare la propria esistenza è partire.
Una narrazione che si fa specchio della società del tempo, dall’emigrazione per l’America per trovare un sollievo alla miseria alla presenza dei coatti, i contadini che avevano manifestato in occasione dei Fasci ed erano stati mandati al confino sull’isola, temuti dalla gente del luogo, costretti in un angolo dell’isola come in un ghetto. Fino ai casi di femminicidio, con il triste destino della cugina Marisa. A prendere forma un mondo contadino, retto da antiche leggi, ma soprattutto segnato da fatica e miseria, in cui fede e superstizione appaiono abilmente intrecciate, in cui pettegolezzi e dicerie finiscono per condizionare l’esistenza, un mondo in cui esistono, però, anche amicizia e solidarietà.
Protagonista è Lipari, micromondo caratterizzato da un proprio dialetto e regole proprie, in cui centrali sono le leggi della natura, contro le quali non si può combattere “Lipari non era piccola ma era pur sempre un tozzo di roccia e pietre, buttato per dispetto con le sue sorelle in mezzo all’acqua e, come sa chi nell’acqua ci vive, è sempre idda che comanda. Ai suoi figli aveva insegnato pure le cose della terra, a coltivare per mangiare, perchè bisognava saper fare tutt’e due le cose, seminare e pazientare, buttare le reti e, anche lì, aspettare, Era l’attesa che si doveva imparare più di tutto, il rispettare il tempo che quel tempo portava frutti e riempiva le pance”. E’ la stessa scrittrice a spiegare come molte delle storie narrate nascano da esistenze reali, dalla ricostruzione delle storie di pescatrici di Lipari consegnate da Macrina Marilena Maffei “Donne di mare”, storie di miseria e riscatto e delle guaritrici dell’isola in “La maga e il velo”. Di forte suggestione l’uso del dialetto, che risulta sempre comprensibile al lettore, capace di rendere appieno l’inquietudine dei protagonisti, di conferire verosimiglianza ai dialoghi, dalle ‘raziuni delle guaritrici alle camurrie che tutti i personaggi vorrebbero evitare al travagghio che scandisce ogni esistenza “Tu ora mi cunti tutte cose. Ti pari ca mi puoi fare fissa?” tuonerà Cettina nei confronti della figlia e quelle parole ci sembra davvero di sentirle risuonare.
Il romanzo sarà presentato il 4 luglio, alle 18.30, alla libreria Mondadori-galleria Corso Vittorio Emanuele di Avellino