Il cinema come sguardo capace di esplorare le emergenze sociali, come spazio di militanza. Al via la 49esima edizione del festival Laceno d’Oro International Film Festival di Avellino in programma dal primo fino all’8 dicembre negli spazi del Cinema Partenio e dell’ex Eliseo, oggi Casa della Cultura Cinematografica “Camillo Marino e Giacomo d’Onofrio”. Si comincia, alle 16.30, con la selezione dei cortometraggi di Irpinia Focus, si prosegue, alle 18, con “Si dice di me” di Isabella Mari, a seguire l’incontro con l’autore. Per la retrospettiva dedicata ad Arnauld Desplechin, Laceno d’oro alla carriera, alle 20 “Racconto di Natale”. Desplechin si interroga su sentimenti e dinamiche familiari, a partire dalla storia di una coppia con un amatissimo figlio ammalato e bisognoso di un trapianto di midollo osseo che decide di mettere al mondo un terzo figlio, Henri, sperando che quest’ultimo sia compatibile per la donazione organica. Ma anche il nuovo nato si rivela incompatibile con il fratello che muore a soli 7 anni. Il lutto per la perdita del primo figlio sembra essere rielaborato quando, anni dopo, la madre apprende di essere stata colpita dallo stesso male del figlio e va cercando un donatore tra i figli ormai divenuti adulti, tutti con storie personali elaborate. Il donatore potrebbe essere proprio Henri che però, essendo stato allontanato dalla famiglia per volere della sorella Elizabeth, fa inaspettatamente ritorno per trascorrere il Natale in famiglia nella città di origine, Roubaix, dove dovrà decidere se accettare il trapianto che potrebbe salvare (ma anche uccidere) la madre.
All’Eliseo, alle 16.30, di scena i corti degli “Occhi sulla città”, alle 18.30, “Invention” di Courtney Stpehens, alle 20.30 “The cats of Gokogu Shrine” di Kazuhiro Soda.
Il regista giapponese Soda torna a Ushimado, il piccolo villaggio sul mare nella prefettura di Okayama, in cui aveva già realizzato il bellissimo Inland Sea. Ad essere protagonisti i gatti randagi che si aggirano nei giardini del santuario Gokogu, il fulcro shintoista della comunità di Ushimado, e che ormai, grazie ai social, sono diventati un’attrazione per appassionati provenienti da ogni dove. Il regista si sofferma sulla trama di relazioni che stabiliscono con la gente del villaggio. Un rapporto di amore, per lo più. Ma anche di preoccupazione, se non addirittura di fastidio, in alcuni casi. Perché, oltre ad attirare l’attenzione e le amorevoli cure di tutte le persone che accorrono per assisterli, dargli da mangiare, per fotografarli o per utilizzarli come un antidoto allo stress quotidiano, i randagi di Gokogu sollevano anche una serie di problemi insospettabili. Il risultato è una rappresentazione bella e cruda, semplice ma complessa dell’universo di Gokogu, dove si intrecciano persone, gatti e tutti gli esseri viventi.