di Antonio Emanuele Piedimonte
Un fuoriclasse smarrito nelle nebbie della storia. Un protagonista del Cinquecento che i posteri hanno a lungo obliato e persino bistrattato, persino nella toponomastica: sulla targa stradale che dovrebbe ricordarlo nel quartiere San Giovanni a Teduccio, al posto di Imperato si legge Imparato. Una beffa amara che lo accomuna ad altri personaggi dimenticati o non adeguatamente ricordati dalla città che hanno contribuito a rendere grande, ma più di una vocale sbagliata a pesare davvero è il silenzio sulla sua opera e dunque sulla sua vita.
A parziale (iniziale) risarcimento, da giovedì prossimo una mostra renderà omaggio al genio del “Semplicista Eccellentissimo” arricchendone la fin qui assai scarna biografia.
Curata dall’architetto Sergio Attanasio – che in tal modo celebra nel migliore dei modi il trentennale dell’associazione “Palazzi Napoletani” da lui fondata e guidata –, l’esposizione sarà inaugurata giovedì 10 luglio (ore 11) nella Sala Tasso dell’Archivio di Stato di Napoli (piazzetta Grande Archivio) dalla direttrice del prestigioso ente Candida Carrino, insieme con il presidente dell’Ordine dei Farmacisti di Napoli Vincenzo Santagada e il designer Antonello Scotti.
WUNDERKAMMER
Oggi ignoto ai più, nel XVI secolo lo studioso napoletano era conosciuto e stimato in tutta Europa, così come il museo naturale (la prima wunderkammer) che aveva allestito nel 1552 nella zona di via Monteoliveto (all’altezza di palazzo Gravina) per descrivere le meraviglie del regno vegetale, animale e minerale. Un luogo che era divenuto ben presto sede di un altissimo cenacolo culturale e una tappa obbligata per scienziati e visitatori colti. Del perduto museo conosciamo una parte degli interni – ovvero i suoi mirabilia (naturalia e artificialia) – grazie a una magnifica tavola che ci restituisce una suggestiva “fotografia” del salone, punta di diamante del corredo iconografico del suo libro più famoso: “Dell’Historia Naturale”, la monumentale uscita 1599 che divenne un punto di riferimento per generazioni di eruditi.
E a proposito di testi, va detto che la parte forse più importante del museo era costituita da una straordinaria collezione di libri, ottanta preziosi volumi cartonati di grosso formato che erano stati acquistati in gran parte nella fiera del libro di Francoforte. La raccolta si aggiungeva alla ricca biblioteca ed entrambe riflettevano i suoi interessi di scienziato e di speziale offrendo una panoramica che abbracciava un po’ tutto, dalla botanica alla iatrochimica e alla spagirica paracelsiane, passando per la geologia e la paleontologia, sino alla medicina e ovviamente la farmacia. Un tesoro che dopo la scomparsa del fondatore subì il triste destino del resto del patrimonio: dispersione e distruzione. Si salvarono solo 9 volumi acquistati in extremis dall’amico Sante Cirillo, testi la cui importanza emerge da un episodio citato da Miniero Riccio: quando Martino Valle venne a Napoli, nel 1783, il discendente del famoso Linneo «s’inginocchiò e baciò religiosamente uno per uno i nove volumi salvati dal disperso museo dell’Imperato». Sarebbe uno spettacolare lieto fine ma il finale è un altro. Anni dopo i libri passarono alla biblioteca del grande medico e botanico Domenico Cirillo (il nipote) che nel 1799 fu data alle fiamme dalla plebaglia borbonica. All’ignobile rogo – cui seguì l’esecuzione dell’anziano e illustre scienziato per mano del boia del re – sopravvisse un solo volume oggi custodito nella Biblioteca nazionale.
La mostra napoletana – per la quale va ringraziata la Direzione generale Archivi e con essa il Ministero della Cultura – è de facto il naturale seguito delle ricerche che Attanasio (già autore di un prezioso lavoro sulla Cappella e il Palazzo Sansevero per i tipi delle edizioni Alos) aveva realizzato per il suo volume “Wunderkammer Napoletane”, uscito nel 2021 con una introduzione di José Vicente Quirante Rives.
CENACOLO DI SCIENZA E CULTURA
L’intensa attività in campo alchemico-sanitario sia come speziale, semplicista, aromatario sia come studioso, non impedirono a Ferrante Imperato di dedicarsi alla vita pubblica. Tra le altre ricoprì la carica di capitano dell’Ottina di Nido – uno dei Sedili della città (le circoscrizioni) che si riuniva a piazzetta Nilo – e di governatore popolare (dal 1587) della più antica istituzione sanitaria del Regno: la Real Casa dell’Annunziata (di cui amplierà la già importante spezieria).
Dagli impegni politici a quelli filosofici. In quella che si può considerare come una tra le stagioni più feconde per la crescita culturale e scientifica della città, intorno all’Imperato si riunì un nutrito gruppo di intellettuali, napoletani e non solo. Tra i tanti: il naturalista, botanico e accademico dei lincei Fabio Colonna; il grande bibliofilo Gian Vincenzo Pinelli (nato a Napoli da famiglia genovese); il medico, filosofo e alchimista nolano Colantonio Stigliola (anche lui linceo e amico di Tommaso Campanella e Giordano Bruno); il naturalista senese Ippolito Agostini; il medico, botanico ed entomologo bolognese Ulisse Aldovrandi; il medico e botanico tedesco Joachim Kammerer (“il giovane”); il botanico fiammingo Giuseppe Benincasa (o Casabòna); il filosofo, alchimista, commediografo e molto altro Giambattista Della Porta. E in particolare lo scienziato lucano Bartolomeo Maranta, che fu suo fedele allievo nella farmacia come nell’alchimia e lo ricorderà con affetto nella dedica del “Della Theriaca e del Mitridato”. Eccone uno stralcio: «…voi siete l’Architetto e io il muratore, quindi ve lo dedico facendovene padrone e protettore. (…) non passa giorno che non vi venghino lettere da diverse parti del mondo, da diversi eccellenti huomini, che con voi si consultano sopra le difficoltà che nella natura e cognizione della Materia Medica…».
Un fertile milieu intellettuale, dunque, da cui emergeva una sostanziale adesione all’orizzonte dei cosiddetti “novatori”, cioè al metodo sperimentale, alla difesa di quella libertas investigandi che getterà le basi per la futura Accademia degli Investiganti, il cui lavoro aprirà gli spazi necessari al gemmare dell’illuminismo.
SCIENZA ALCHEMICA
L’“Historia” di Ferrante Imperato in più punti richiama tematiche e caratteri tipici dell’alchimia e dell’ermetismo, ben oltre che nel semplice utilizzo della nomenclatura chimica e spagirica, che a quel tempo era bagaglio comune di speziali. Già negli scritti di Antonio Neviani (pubblicati nel 1936) si ricordava che «… nelle considerazioni che svolge Imperato, ndr) risente ancora dell’alchimia dei secoli precedenti. I nomi di Pietra filosofica (cap.V), di medicina filosofica (cap. VI), di maggiore e minore opra (c. VII ed VIII), di parto filosofico (c. XI), lo stanno a dimostrare».
In realtà, però, come avrà modo di rimarcare in tempi a noi più vicini uno dei maggiori studiosi di alchimia in Italia, Massimo Marra: «…il debito dell’Imperato con l’alchimia tradizionale pervade parti ben più consistenti dell’Historia, come risulta evidente già a partire dalle concezioni espresse nel libro I». Insomma, l’impianto generale dell’opera «attinge con disinvoltura alla tradizione ermetico-alchemica», ed è proprio nel libro XXI che lo speziale si dedica ad una organica esposizione «di stampo chiaramente simbolico ed alchemico di grande pregevolezza, che getta una luce chiarificatrice su riferimenti ed idee episodicamente rinvenibili in varie parti dell’opera». Lo storico cita come esempio il parto cui allude il Neviani, che non sarebbe altro che è «il parto del Mercurio filosofico, del fanciullo-re che è coronamento dell’opera», e dunque le definizioni di opra minore ed opra maggiore alludono alla distinzione tra l’aspetto microcosmico ed individuato e quello universale e macrocosmico dell’opera filosofale.
Riverberi arcani per quei simboli ermetici che si riflettono come archetipi scientifici, la storia del pensiero scientifico è ricca di queste millenarie suggestioni. E la storia di Napoli è affollata di personaggi straordinari che attendono ancora di essere condotti fuori da ombre e nebbie.
La mostra dell’Archivio di Stato sarà dunque una preziosa opportunità per gettare uno sguardo alla vicenda solo apparentemente lontana del “Semplicista Eccellentissimo”, che visse 97 anni, peraltro «senza bisogno d’occhiali», come svelerà il Donzelli nel 1681. Un exploit che viene attribuito alle virtù di una sua speciale preparazione alcolica: il “vino di Eufrasia”, bevanda misteriosa di cui sarebbe interessante scoprire tutti gli ingredienti.