Allegri e con il cuore pieno di speranza, come lo si è a 20 anni e poco più, ci demmo appuntamento per le 11 a casa mia. Era venerdì 24 dicembre del 1969. Era venerdì 24 dicembre del 1969. Io e Tonino – Antonio Di Nunno, il futuro sindaco dell’Ulivo di Avellino, eletto in quel magico 5 maggio 1995 quando anch’io venni eletto, sempre per l’Ulivo, presidente della Provincia – dovevamo festeggiare che Giovanni Leone, un dc doroteo, cioè moderato, non ce l’avesse fatta nella 23° votazione per il Presidente della Repubblica. Mia madre ci offrì due enormi fette di panettone e due bicchieroni di spumante, subito spazzolati e trangugiati, previo brindisi. Ma la nostra speranza che ci fosse ancora la possibilità di eleggere Aldo Moro sarebbe andata delusa nel giro di poche ore. Nella votazione pomeridiana Leone – che il giorno prima, con 503 voti, aveva mancato di un voto la soglia fatidica dell’elezione – la superò per una manciata di schede, raggiungendo quota 518. Aveva potuto usufruire del “soccorso nero” dei parlamentari del Movimento Sociale Italiano di Almirante, che ne era il segretario e al quale Forlani, segretario della Democrazia Cristiana, chiese i voti del suo partito per Leone. In caso diverso, disse, la fronda dei parlamentari morotei e di sinistra, molto estesa nella DC, non avrebbe consentito ai parlamentari della maggioranza dc, del PLI, PRI e PSDI di eleggerlo. Tonino ed io, pur condividendo il sentire e il pensare della parte illuminata dei nostri partiti, la DC e il PCI, non potevamo sapere che proprio mentre brindavamo a Moro e all’incontro tra democristiani, comunisti e socialisti, quella mattina era andato a vuoto il tentativo di eleggerlo. Infatti, in quella gelida mattinata romana, fatta di nevischio e di luce fredda – come si legge nella “Vita di Enrico Berlinguer” di Giuseppe Fiori – si incontrarono, su richiesta di Berlinguer, segretario del PCI, e l’on. Moro a casa del professore Ancora, comune amico. Incontrandosi, “si salutarono deferenti, imbarazzati entrambi. Avevano in comune la timidezza e la estrema riservatezza. E avevano anche in comune la fierezza di rappresentare due grandi forze”. Berlinguer confermò aMoro la decisione dei comunisti votarlo, come aveva deciso di fare anche il Partito Socialista di Nenni e De Marino. “Il leader dc ha un modo sobrio di ringraziare, un lieve inchino allargando le braccia. Pensa però che sia tardi per modificare il corso delle cose. Parlano d’altro. Su un punto Moro fu fermo sia a proposito delle elezioni del Presidente della Repubblica sia a proposito del futuro. Certamente c’era stato nella DC un processo di appiattimento, ma era tutta la DC unita che doveva superarlo. Egli non sarebbe mai stato l’uomo della rottura. Essa avrebbe giovato solo alla destra e indebolito la democrazia”. Qualche giorno dopo, scandalizzando buona parte dei dc irpini, Di Nunno, direttore del settimanale “La Voce dell’Irpinia”, diede, senza darla, la notizia dell’elezione di Leone così: a metà della prima pagina campeggiava un foto di Aldo Moro in automobile e sotto la foto c’era scritto: “Il non eletto”. C’è di nuovo, in questi giorni, l’elezione del Presidente della Repubblica, ma quanta malinconia e avvilimento! Oltre qualche risibile miagolio o pigolio del PD su ciò che da destra si prospetta, non altro. Forse nulla di troppo strano nel Paese che non ha eletto Moro Presidente della Repubblica e che, non si scordi, ha inventato ed esportato nel mondo mafia e fascismo.
di Luigi Anzalone