E’ un itinerario che esplora l’universo dell’amore in tutte le sue sfaccettature quello che consegna Luigi Anzalone in “Annacarla e le altre”, Pensa editore. Dall’amore incompiuto, affidato a un bacio rubato, a un fiore che sboccia nel cuore ma che non vedrà mai il giorno della vita al sentimento come unica forza di felicità e salvezza, dal desiderio che travolge e lascia senza fiato alla passione che inganna, promette per poi lasciare il cuore trafitto. Sono racconti, pensieri, riflessioni nei quali le vicende amorose di protagonisti si intrecciano sempre a ricostruzioni attente dello spaccato storico sociale del tempo, come se ogni storia fosse strettamente legata al contesto da cui è scaturita, a ricordarci che l’amore non può non tenere conto di convenzioni sociali, rivoluzioni e mode. Come se la leggerezza del tema trattato, l’amore, dovesse sempre essere accompagnata da un approfondimento di carattere storico e filosofico, rivelando il dna dell’autore, filosofo che ha dedicato la vita all’impegno politico.
Così in “Jacqueline, il giornalista e la francese” Rocco, il brillante giornalista dell’Unità, comunista convinto, travolto dall’amore per la bella Jacqueline “un incendio di passione e di desiderio, di struggimento e dedizione, vivificato da tanti sogni di felicità” dovrà fare i conti, non solo con la fine di quell’illusione amorosa e la misteriosa fuga della donna ma anche con il crollo dell’ideologia comunista, la caduta del Muro di Berlino e la fine dell’Urss “Faceva il suo lavoro di caporedattore con scrupolo e impegno ma gli mancava ormai l’elan vital, lo slancio vitale, l’entusiasmo, la convinzione e la fiducia nella possibilità di salvare l’eredità dell’ottobre e di costruire il socialismo nella libertà e nella democrazia”. In “Una rosa bianca per Eleonora” siamo, invece, nella Flumeri degli anni ’50, in un’Italia in cui l’analfabetismo era una piaga e i docenti facevano salti mortali per raggiungere i paesi più disagiati con le inevitabili multiclassi e tanta fatica per ottenere qualche risultato sul piano educativo. Nella cornice del paese irpino, che richiama l’infanzia dell’autore, l’amore tra i due maestri, maturato lentamente, attraverso una lenta frequentazione, come un frutto da cogliere solo quando sarà maturo, si concluderà in maniera tragica e quella tragedia segnerà per sempre le loro vite, lasciando solo il ricordo di una rosa bianca. Mentre “Floriana e la calda estate del ‘64” ripercorre il tentativo golpista del generale De Lorenzo, capo dell’Arma dei Carabinieri, attraverso lo sguardo dei giovani comunisti che studiavano alla scuola di formazione dei dirigenti di Bologna, sperando magari in qualche avventura sentimentale. Non ha dubbi Anzalone “le trame eversive che hanno punteggiato drammaticamente la storia della Repubblica sono la conseguenza del fatto che il passaggio dal fascismo ai governi della Democrazia Cristiana con alleati centristi che contavano quanto il due di briscola non incise, se non in superficie, sulla precedente struttura statuale autoritaria, antidemocratica e reazionaria del fatale Ventennio”. Si fa, invece, omaggio alla cultura contadina un racconto come “Camillo, il contadino, il prete e l’inferno” che rievoca la condizione dei contadini poveri dell’entroterra campano in un tempo in cui non votare Dc significava tradire la Chiesa e doversi sudare ogni singola mollica di pane, senza nessuna strada spianata o raccomandazione. Con il parroco del paese che spaventerà il malcapitato di turno con la terribile prospettiva dell’Inferno. Ma Camillo che lavorava come un asino tutti i giorni della settimana non potrà che infischiarsene, per lui era già su questa Terra l’inferno “Ma peccè d’Inferno ncene sta’ nauto? Non abbasta quisto qua, addo’ aggia campà dannato, faticanno come ‘na bestia ogni iuorno della vita mia?”.
A sfilare davanti agli occhi del lettore una carrellata di figure femminili, come Arianna, fatale e disinvolta, apparentemente senza cuore ma che pure ha un sussulto nell’incontrare il suo amore di un tempo, quel Guliano di cui aveva creduto per un istante di essere innamorata, intento a festeggiare da solo in un bar quell’amore finito o ancora Floriana, spigliata e sicura di sè, autentica militante, dal cuore zingaro, libera anche nel modo di vivere l’amore o la napoletana Barbara pronta a morire per l’uomo che ama nella Napoli del ‘43 pronta a insorgere contro i tedeschi o Annacarla, la regina dei quartieri spagnoli, capace di farla finita col suo passato fino a Mariangela, la moglie del fattore, fedele al suo amante Tanino fino alla morte. L’amore è ora sacrificio ripagato dopo tanta attesa, ora sofferenza senza fine, ora pensiero ossessivo, sempre capace di abbracciare corpo e spirito. Ad emergere il ritratto di un paese che attraversava il passaggio dalla cultura contadina alla modernità, in cui l’emancipazione culturale che sembra contraddistinguere quasi tutti i personaggi della raccolta e il sogno comunista apparivano garanzia di un futuro migliore, di felicità dell’individuo e della comunità ma non possono nulla contro la violenza di un mondo che condanna i più fragili e di un destino che a volte è il vero nemico che non risparmia davvero nessuno. Un itinerario che ci accompagna da Parigi a Firenze ma da cui emerge con forza l’amore di Anzalone per Napoli, città vitale, unica al mondo, poesia della vita e patria dell’anima, ecco perchè, ci ricorda l’autore, è impossibile non pensare che il suo mito non conduca alla Grande Dea Madre Mediterranea.
Difficile dare una definizione del sentimento dell’amore, questa incertezza sulla sua natura caratterizza tutta la sua raccolta. A guidare Anzalone c’è però la convinzione che “proprio grazie alla disarmata e disarmante forza gentile di questo meraviglioso sentimento, grazie al desiderio, al ricordo, alla nostalgia, al rimpianto di un amore perduto o lontano, gli uomini di liberano o si possono liberare di quanto non umano, infelice, violento, oppressivo c’è nel loro modo di vivere. E’ l’amore che li porta a riscoprire la loro umanità di uomini”. Ed è ancora l’amore ad abbattere differenze di qualsiasi tipo come testimonia “Storia di Lili Marlen” “In quei pochi minuti in cui i soldati ascoltavano Lili Marleen, essi indossavano la divisa con cui le loro madri li avevano messi al mondo: quella di uomini e rivedevano con gli occhi della mente il volto e la figura della donna che amavano e comprendevano com’è caldo il sentimento della pace e come è vera la ragione dell’amore”