“La letteratura ci ricorda l’importante funzione della bellezza. Senza bellezza non esistiamo, viviamo di abbrutimento, dimenticanza di noi stessi e noia ma la bellezza ha un prezzo. Mentre noi viviamo in tempi cosmetici e non estetici, dove tutto è pulizia di superficie e apparenza. La letteratura rivela, invece, ciò che è nascosto, ciò che è verticale, la bellezza che è sotto gli occhi di tutti ma di cui in pochi si accorgono”. E’ la scrittrice Antonella Cilento a sottolineare con forza il potere delle letteratura, nel presentare alla Biblioteca Provinciale il suo romanzo “La Babilonese”, edito da Bompiani, in un confronto, carico di suggestioni, con la scrittrice Emilia Cirillo e il giornalista Generoso Picone, inserito nel Campania Libri Festival, diretto da Massimo Adinolfi e introdotto dai saluti dell’assessore alla Provincia Emanuela Pericolo e dalle parole di Leonardo Festa, che ha voluto portare i saluti di Adinolfi
“La Babilonese -prosegue Cilento – è il romanzo dei romanzi, non racconta una storia lineare ma attraversa dimensioni temporali differenti. Nasce dalla volontà di rispondere a una domanda, di cercare di capire perchè ci succedono sempre le stesse cose, perchè riviviamo sempre gli stessi problemi e traumi. E’ quello che capita ai personaggi del libro che comincia 3000 anni fa e arriva fino ai nostri giorni, parte da Ninive, passa per Londra per approdare a Napoli. I personaggi sono diversi ma forse sono sempre gli stessi. E’ come se la stessa scena si ripetesse in altri luoghi e in altri tempi, Così Libbali, sposa del dio-re Assurbanipal, la Babilonese del titolo, è costretta a fare i conti con il dolore dell’uccisione dell’uomo che ama, il medico ebreo dagli occhi color lapislazzulo e delle proprie figlie. Giura vendetta, fugge dalla sua terra e la troviamo poi nelle vesti di maga, Madame Ballu o di una donna del nostro tempo, Alice Bilardi che ha perso tutto. La sua azienda che si occupava di conservazione dei dati è fallita. Un tentativo, quello di salvare la memoria, che richiama gli Assiri che affidavano la difesa della memoria alle tavolette cuneiformi su cui scrivevano. Una memoria che hanno perso, ma che probabilmente stiamo per perdere anche noi, malgrado le nuove tecnologie”. Ricorda come le “donne sono grandi protagoniste anche in questo romanzo, attraverso storie che ripropongono stereotipi, come regine o streghe o sembrano allontanarsene. Eppure anche allora, dobbiamo chiederci se effettivamente è così”.
Sottolinea la duplice dimensione del romanzo che mescola “fantasia e storia, si propone di indagare presente e passato, fonde tutte le lingue e le forme del romanzo, a partire dai temi dell’amore e della vendetta. A volte dimentichiamo e perciò andiamo avanti. Siamo chiamati a scegliere tra vendetta, giurata nel tempo ma che poi si dissolve e l’amore che resta. E’ un romanzo su come sopravvivere al dolore immane, sulla necessità di superare la notte”. Spiega come “oggi abbiamo perso la nostra capacità di avere visione, alle storie chiediamo che siano solo uno spazio di consolazione o lamentazione”.
E’ la scrittrice Emilia Cirillo a soffermarsi sulla forza della scrittura di Cilento “Una scrittura avvolgente che attraversa i 5 sensi e consegna gli odori e le voci di Napoli e dei molteplici luoghi che attraversa”. Sottolinea come questo libro “sia la storia di un amore troncato sul nascere, di una vita devastata dal dolore ma che troverà una sua consolazione. La bambina con la luce che accompagna Libbali nella sua lucerna richiama la ricerca della verità e in fondo del senso della vita. Ma è anche una storia sull’andare sempre alla ricerca, in cui forte è l’idea di avventura, che richiama Stevenson e Silvio D’Arzo, poichè la vita stessa è affrontare imprevisti che fanno inciampare”. Centrale, ricorda Emilia, è l’idea di memoria “che è vera solo quando si affida come nei dipinti di Aniello Falcone che testimoniano come sia esistita veramente la storia di questa donna e questa bambina con la luce accesa, come nella storia di Napoli raccontata dai suoi pittori”
E’ Picone a ricordare come il libro nasca dalla visione di una mostra sugli Assiri all’ombra del Vesuvio e da una lettura giovanile “Le lenticchie di Babilonia” di Scarpa. “E’ un romanzo che non rispetta una sequenza cronologica, costruito attraverso un montaggio cinematografico nel segno della ciclicità, di simboli che ritornano, a partire dal passaggio dalla potenza della luce al degrado che richiama la concezione del mondo di Babilonia. E’ l’immagine iniziale, di una testa mozzata, nei giardini di Ninive a evocare uno de temi del libro, la capacità di affrontare il trauma, gli urti che caratterizzano le curve dell’esistenza, di fronte ai quali l’unica soluzione, talvolta, è dimenticare. Gli stessi giardini di Ninive ritornano anche nell’immagine della Napoli del ‘700 o di Londra, in cui ritroviamo segni di mondi lontani”. Quindi pone l’accento sulla necessità di “fare i conti con la memoria, a partire dalla scrittura fino ad arrivare agli hard disk, un richiamo evidente anche nella stratificazione che caratterizza tutti i luoghi. E’ un libro che ribadisce il diritto della letteratura a raccontare storie attraverso una esaltazione quasi epica del romanzo”
Un incontro, quello tenutosi ieri alla Biblioteca Provinciale, che ha rappresentato un piccolo assaggio del Campania Libri Festival, in programma a Napoli ad ottobre, di cui Antonella sarà una delle autrici protagoniste: “Avrò con me due scrittori e amici come Rosa Montero e Giuseppe Montesano, il tema scelto è quello delle creazione, nel tentativo di interrogarsi su cosa succede quando creiamo”.