“Non c’è nessuna chiave nostalgica nella ricostruzione del Sud dei Borboni che consegna Gina Ascolese. C’è piuttosto la capacità di fondere leggerezza e profondità, attraverso il punto di vista degli sconfitti”. Lo sottolinea lo scrittore Franco Festa nel soffermarsi su “Nozze, carrozze e re – I Borboni nel 1959”, edizioni Valle del Tempo, presentato questo pomeriggio al Circolo della stampa. Punto di partenza il viaggio in carrozza compiuto da re Ferdinando e Maria Teresa dalla reggia di Caserta con figli, seguito e servitù, per andare a ricevere in Puglia Maria Sofia di Wittelsbach, splendida diciottenne bavarese selezionata tra una rosa di nobili candidate alla mano del principe ereditario Francesco.
E’ il professore Mario Gabriele Giordano a sottolineare la capacità dell’autrice di entrare dentro la storia attraverso la fusione di farsa, commedia e tragedia, a prendere forma una narrazione avvincente in cui le vicende dei singoli individui si intrecciano a quelle della collettività. Continui i riferimenti al dialetto, da quello irpino a quello napoletano, fino a quello siculo, che richiama la terra in cui è nato Ferdinando, così da conferire verosimiglianza alla vicenda, se è vero che re e regina parlavano solo in Napoletano. Franco Festa ci ricorda come “il pretesto del viaggio da Napoli a Bari consente all’autrice di parlare di quella che era la realtà di Napoli e del Mezzogiorno sotto i Borboni. Una ricostruzione in cui si inseriscono le vicende degli oppositori del carcere di Montefusco, nel ricordo dei patrioti che lottarono contro Ferdinando. Ho letto questo libro anche come un omaggio ad un bravo storico irpino, prematuramente scomparso, Celestino Genovese, che ricostruisce la storia del territorio attraverso l’uso della finzione. Un percorso, quello del romanzo, che si apre all’insegna della leggerezza, quasi ad ingannare il lettore, ma si conclude con una chiave drammatica con la malattia di Ferdinando, nei confronti del quale non è possibile non provare un sentimento di pietas”
Bianca Maria Palladino si sofferma sul viaggio che caratterizza il romanzo, in una terra segnata da freddo e arretratezza “La narrazione ci ricorda che l’Unità d’Italia non fu un processo realizzato ex abrupto, se è vero che già nel 1700 esistevano i primi tentativi di codificazione del diritto nel Mezzogiorno”. Quindi pone l’accento sulla capacità di sintesi e racconto di Ascolese che si cimenta nella creazione di un romanzo storico, genere particolarmente caro agli uomini, al di là di convenzioni e luoghi comuni “I dettagli storici si fondono con i personaggi frutto di fantasia”.
Lo storico Silvio De Majo spiega come il romanzo di Ascolese ci consente di “comprendere meglio quella pagina della nostra storia che è stato il Risorgimento. E’ chiaro che dietro questo romanzo c’è la lezione di Raffaele De Cesare con il suo ‘Fine di un regno”. E sottolinea come lo stesso re finirà per essere vittima della sua politica, non avendo mai voluto realizzare nessuna linea ferroviaria da Napoli in Puglia per evitare di dover ricorrere a capitali stranieri. Quel viaggio che ora è costretto a compiere in carrozza”.
E’ quindi Ascolese a spiegare come nasca il romanzo “Mi sono appassionato alle storie dei prigionieri politici, leggendo i loro memoriali ho capito che volevano essere ricordati per ciò che avevano fatto, che per loro non era stato un sacrificio, tanto da scegliere di non chiedere la grazia. I protagonisti del Risorgimento incarnano i valori che ritroveremo nella Resistenza. Ho sempre amato la storia come portatrice di quei grandi valori che si sono incarnati nella Resistenza e nei principi costituzionali”. E ricorda di aver dato un’anima a un personaggio duplice, come il re, semplice e allegro ma capace anche di forti sentimenti di odio. “Di fronte alla malattia, si ritroverò solo con sè stesso, allontanandosi da una fede intesa come superstizione. E la stessa regina apparirà una moglie come tante che accudisce il proprio marito”