Il Piano urbanistico comunale di Atripalda, così come presentato e ancor prima approvato dalla Giunta Spagnuolo, non trova i favori delle forze politiche che hanno firmato il documento che qui di seguito riportiamo, e sottoscritto da Giuseppe Spagnuolo, capogruppo del gruppo consiliare “Atripalda Futura”, con i consiglieri Nancy Palladino e Mirko Musto, Roberto Renzulli, consigliere comunale del gruppo “ABC – Atripalda Bene Comune”, Gerardo Malavena, segretario del circolo di Atripalda del Partito Democratico, Luigi Adamo, in rappresentanza del partito SI – Sinistra Italiana, Ulderico Pacia, rappresentante socialista iscritto alla Sezione di Atripalda.
Questo il documento:«Pianificare urbanisticamente una cittadina di un’area interna, per giunta del sud Italia, può essere un’occasione per invertire la tendenza che appare portare, ineluttabilmente, al suo isolamento. Con l’affermarsi di tipologie di lavoro quali lo smartworking e il co working che sciolgono l’indissolubilità nello spazio e nel tempo del connubio tra prestazione di lavoro e postazione fissa, aprendo scenari, già oggi pienamente operativi, di uffici virtuali organizzati grazie alla telematica senza alcun confine fisico, cosa manca, allora ad un’area interna, per renderla appetibile a chi scegliendo di lavorare a distanza può optare per una prospettiva differente di vita da quella offerta dalle grosse aree metropolitane del nord o anche delle aree costiere del sud?
Nuove abitazioni? Di sicuro no! Non sono le case che mancano alle aree interne spopolate del sud. Ciò che occorre veramente ad un’area interna per creare le condizioni di un freno allo spopolamento sono i servizi, le attrezzature a servizio pubblico dei cittadini che segnano la differenza tra un’area attrezzata per essere vissuta con un’area dormitorio drammaticamente predisposta all’abbandono.
La stessa relazione di accompagnamento al Puc dimostra che ad Atripalda di abitazioni ce ne sono già abbastanza. Ciò che manca ad Atripalda ed è drammaticamente assente in questo piano sono le attrezzature pubbliche, i servizi.
Questo è un PUC che accelera dunque il destino della nostra comunità dell’entroterra meridionale verso lo spopolamento, in linea con la politica dell’“autonomia differenziata” cara alla destra, cui l’attuale amministrazione apertamente si richiama. La sballata previsione di espansione urbana, contraddittoria con le stesse premesse teoriche del piano, usa la perequazione urbanistica per mascherare un modello vecchio di 60 anni, nel quale esiste l’unica equazione ovvero sviluppo = edificazione di nuove abitazioni.
Tale idea, oltre a favorire lo spopolamento ha solo conseguenze negative per il territorio:
- Consumo di suolo ed esposizione del territorio collinare comunale all’incremento del rischio di dissesto idrogeologico a causa dell’impermeabilizzazione dei suoli che inevitabilmente, durante gli eventi atmosferici estremi sempre più frequenti, produrrà un incremento della velocità di ruscellamento delle acque meteoriche e della loro capacità erosiva;
- Ulteriore incremento dell’attuale eccedenza di case non abitate che “drogherà” il mercato immobiliare ampliando l’offerta a fronte di una domanda non esistente;
- Creazione di quartieri che nascono per essere dormitori semivuoti senza servizi e senza integrazione sociale con il comune di Atripalda e con gli altri comuni limitrofi.
Imbarazzante è poi il tentativo di nobilitare il disegno mega-espansivo della città collegandolo alla prospettiva, tanto suggestiva quanto assolutamente incerta, di un intervento pubblico pseudo perequativo di valorizzazione dell’area archeologica di Abellinum. Si tratta, infatti, di un percorso tutt’altro che lineare, che necessita, per la sua materiale attuazione, di un’opera di coordinamento spinta tra Comune e Soprintendenza non facilmente immaginabile (conosciamo i tempi di azione della Soprintendenza) e non può prescindere dalla volontarietà dei privati che possono legittimamente ritenere l’operazione non di loro interesse.
Questo significa che, con tutta evidenza, date le incognite dell’operazione, il tutto si risolverà facilmente in un degrado dell’area che facilmente si presenterà:
- in parte presidiata dai proprietari che non avranno aderito e che potranno comunque trovarsi in una condizione di disagio per la pressione da parte di chi ha interesse a massimizzare gli indici edificatori nell’area di espansione S. Vincenzo Giacchi, oltre che per la pressione fiscale dovuta alla classificazione delle proprie aree quali edificabili, pur essendo di fatto inedificabile;
- In parte non presidiata in quanto trasferita o in corso di trasferimento al comune da parte dei proprietari cha avranno aderito alla procedura di cessione dell’indice e delle aree. Evidentemente tale porzione sarà quella destinata per un lungo periodo, se non definitivamente, al degrado per la presumibile inerzia della Soprintendenza, di cui conosciamo bene i tempi di azione. I sottoscrittori di questo documento, preoccupati delle conseguenze negative che il PUC adottato comporterà alla nostra città, hanno presentato numerose osservazioni sul metodo e sul merito delle scelte fatte, per chiedere una profonda revisione dello stesso anche previo un suo ritiro propedeutico ad un suo completo ripensamento».