Forse ha ragione Giorgia Meloni nel ritenere che tra le priorità del governo della nazione quella che riguarda l’Autonomia differenziata regionale non è certo, sia pure importante, tra le riforme più urgenti da fare. Certamente s’ha da fare, ma andando avanti con un pensiero lungo e dentro una riflessione che salvaguardi l’unità nazionale. Invece a stare ai fatti dell’oggi l’Autonomia è quasi diventata una partita da stadio con i tifosi da una parte e dell’altra. Uno scontro giocato con vecchi arnesi e nuove pretese. Così avanza la confusione e, in assenza di lucidità, si sfiora una volgarità anche nel linguaggio. Il ministro Calderoli che appella il presidente della Regione Campania come novello Masaniello o aggredisce intellettuali meridionali che vogliono vederci chiaro non sono una dimostrazione di saggezza. Andiamo per ordine, spiegando che cosa è l’autonomia differenziata. Essa è prevista dall’art. 116 della Costituzione che al comma 3 attribuisce forme di autonomia su alcuni poteri alle Regioni con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata. Tra le autonomie possibili sono previste materie come l’istruzione, rapporti con l’Europa e Stati esteri, commercio estero, salute, alimentazione, aeroporti, sistema tributario e beni culturali. Ogni Regione ha la facoltà di chiedere cosa vuole gestire in autonomia. Tre regioni del Nord, Veneto, Lombardia e Piemonte hanno già chiesto di voler gestire tutte le materie possibili. Sono previsti i cosiddetti Lep (livelli essenziali di prestazione) a garanzia del diritto di ciascun cittadino, qualunque sia la sua residenza, di beneficiare dei medesimi servizi. Tutto qui e non è poco. In realtà la polemica tra nord e sud fa riferimento alla bozza presentata qualche giorno fa dal ministro leghista- bossiano per gli affari regionali che come un carrarmato intende andare avanti senza recepire i pericoli che potrebbero minare l’unità italiana. Per lo più si tratta di errori del passato, come quello della spesa storica che hanno lungamente penalizzato il Mezzogiorno. E’ probabile che la prima bozza presentata dal ministro subirà variazioni sostanziali anche sotto la spinta delle giuste rivendicazioni della classe dirigente meridionale. Sicuro è, invece, che conclusa la partita riformista, si apre quelle più interessante della stagione dell’impegno. Sarà la classe dirigente del Sud, presidenti di regione, amministratori locali, dopo aver visto riconosciuti i suoi diritti, segnare la grande svolta attesa per la rinascita del Sud? O, invece, come è accaduto con i fondi europei, e ora con il Pnrr, si continuerà a viaggiare sulla rotta del clientelismo e dell’incapacità di spesa come è accaduto sin qui? In questo dilemma è l’arcano mistero che potrebbe spiegare, se svelato, dove si nasconde la radice del male.
di Gianni Festa