“Abbiamo ascoltato dichiarazioni da parte del sindaco Festa sul tema dell’autonomia che ci hanno sconcertato. Il primo cittadino afferma che la riforma non lo spaventa ma, pur essendo abituati al suo fare da guascone, questa volta riteniamo che abbia compiuto un passo falso”. Lo sottolinea Lello De Stefano nello spiegare le ragioni del confronto sull’Autonomia indesiderata promosso questo pomeriggio, al Circolo della stampa, dal Circolo Pd Aldo Moro: “Volevamo offrire un contributo come città del Sud alla manifestazione del 14 e 15 luglio a Napoli con personalità di alto livello e rispondere con forza alle parole del primo cittadino”. De Stefano non risparmia strali a Festa “Non ha potuto scegliere la posizione più comoda, quella del leghista del Sud come ha fatto, invece, Mastella. Questo perchè è prigioniero di accordi sottobanco, ha bisogno dei voti del centrodestra. Dopo che avrà sventolato la bandiera del civismo per rubare voti alla destra e alla sinistra, camuffando i reali interessi della sua formazione, troverà una sponda nel centrodestra. Ma non possiamo più aspettare, la nostra provincia vive una condizione di grande difficoltà, continua a spopolarsi. Ecco perchè ci auguriamo che il centrosinistra , con il campo largo e il Pd uniti, metta da parte pregiudizi e capisca che c’è bisogno di individuare un candidato sindaco che ci consenta di vincere”
L’avvocato Elvira Matarazzo spiega che “Se venisse attuata l’autonomia differenziata sarebbe una sciagura per il futuro dei territori. Trovo assurdo che si proceda ad indirizzare risorse verso regioni più ricche e non si promuova una politica omogenea sul territorio nazionale. In questo modo vengono vanificati i Lep che devono garantire diritti e servizi su tutto il territorio e sono aggravate le disparità esistenti. L’autonomia andrebbe attuata in un ambito di carattere costituzionale, solo in questo modo gli articoli 116, 117 e 119 potrebbero trovare una più facile attuazione” E sulle parole pronunciate al sindaco Festa “Non so come si faccia a spiegare ai cittadini che questa riforma va nel loro interesse, i sindaci devono pensare al bene comune. Sono anzi curiosa di conoscere le giuditificazioni che i politici potranno offrire per sostenere la riforma Calderoli”
L’economista Paolo Ricci, docente di economia alla Federico Ii di Napoli, sofferma sui rischi della riforma “che si possono riassumere nell’idea dell’aggravamento delle disuguaglianze territoriali. Qualsiasi riforma che parte dall’idea che ci siano regioni traino e zavorra farà male al paese. Bisognerebbe riprendere alcune indicazioni che che si avviarono subito dopo la riforma del 2001 ma poi abbandonate per ragioni prevalentemente finanziarie e dovute alla fiscalità. Non dico quel federalismo così stretto e pungente che si immaginava ma qualcosa che possa aiutare le Regioni ad avere una certa autonomia. Noi però abbiamo l’esperienza ventennale della sanità. Abbiamo sperimentato modelli molto simili a quelli del disegno Calderoli, anche prima del Covid, e sono del tutto negativi. Ritengo che i meccanismi dei Lep, dei fabbisogni e costi standard siano da superare, costruiti immaginando di migliorare l’efficienza e l’efficacia delle pubbliche amministrazioni ma non realizzati. Rappresentano un presupposto sbagliato anche in questa riforma”. Ricorda come in questi anni sono state attuate varie riforme come quella del dimensionamento delle province “mentre bisognerebbe ripartire da una riforma di enti locali e province. Se le province non hanno funzionato è stato non per l’incapacità delle province ma per l’attività programmatoria delle Regioni. Non possiamo dimenticare che il regionalismo è partito venti anni dopo l’avvio costituzionale con un deficit finanziario, la spesa storica su cui si fondano trasferimenti dal centro alla periferia replica modelli negativi, abbiamo un gap relativo alla spesa del settore pubblico tra cittadino del Nord e del Sud di circa 3000 euro. Non avendo all’epoca infastrutture e servizi adeguati, riproduciamo un modello di aggregazione della spesa storica iniquo, o si rivede la spesa storica e i modelli di finanziamento degli enti regionali o sarà difficile trovare vie risolutive in un momento in cui all’inflazione si affiancano le difficoltà della politica”. Malgrado tutto, Ricci si dice ottimista “Ci sono tanti emendamenti che pendono sulla riforma anche da parte della maggioranza, due da parte della stessa Lega, Non c’è accordo nemmeno nella maggioranza, non credo che tutte le riforme di cui si parla si realizzeranno”. Sottolinea il valore di incontri come questi “Sono utili tutte le iniziative che convergono sull’idea che questa riforma è sbagliata nei tempi e nei contenuti. Del resto, non ha mai potuto contare su un forte consenso, anche se, quando Conte ha riaperto il dibattito, proprio la Regione Campania si è spinta su questo tema, proponendosi come soggetto che poteva fare da breccia ma dobbiamo stare attenti a queste vocazioni autarchiche che non abbiamo nelle nostre corde. Abbiamo bisogno di uno Stato e di Regioni che funzionano”. Sottolinea come “ritengo che le materie assegnate alle Regioni siano sufficienti, il problema è capire come elaborare soluzioni di problemi validi per i territori. Non possiamo dimenticare che abbiamo impiegato 10 anni per calcolare costi standard per gli asili nido, quelli relativi alla sanità sono fermi al 2017, oggi costruiamo una commissione Lep sapendo che ci vogliono anni per realizzare condizioni di pari opportunità”. Sottolinea come “la riforma è un salto nel buio che ha tratti di irreversibilità con numerose incongruenze finanziarie e una connotazione privatistica legata alla negoziazione delle materie. Chi ha maggiore capacità fiscale potrà trattenere il maggior numero di materie”. E spiega come “la riforma dell’autonomia si pone in contraddizione rispetto al Pnrr. Prima chiediamo di finanziare un’opera per ridurre le disguaglianze come il Piano nazionale di ripresa e resilianza, poi proponiamo una riforma che avrà l’effetto di accrescerle. Il rischio è quello della costruzione di piccoli stati con una dirigenza amministrativa che chiede autonomia. A ciò si affianca la mancanza di una pubblica amministrazione pronta a gestire gli effetti della riforma come già accaduto con il Pnrr”
E’ quindi l’avvocato Carmen Pellino, presidente della Camera Penale di Avellino parlare di “una narrazione falsa dell’autonomia che contraddice la realtà giuridica e istituzionale. Il rischio è quello di trovarsi di fronte ad una secessione delle regioni ricche che viola il modello costituzionale. Basti pensare alla frammentarietà dell’offerta formativa che caratterizzerebbe il settore istruzione, penalizzando una parte degli studenti”
E’ Annamaria Pascale a sottolineare la necessità di “essere uniti su questo percorso. Se si parte dalla distanza tra Regioni e i Lep hanno come riferimento la spesa storica è chiaro che si finisce solo con accentuare le distanze. Non è possibile non avere un treno per raggiungere Ariano in Irpinia. Ci sono servizi che devono essere garantiti a tutti. Ecco perchè è fondamentale capire come questa riforma inciderà sulla nostra vita quotidiana”
Antonio Gengaro spiega come “Lo spirito dell’assemblea costituente è venuto meno quando si è trattato di mettere mano alle riforme della Carta. Il titolo V andava riformato, ma non siamo stati capaci di farlo. Durante la crisi della pandemia abbiamo visto come le Regioni si sono sovrapposte al governo e siamo riusciti a fronteggiare la pandemia quando il governo ha nominato un commissario. L’obiettivo della Lega è fare in modo che le regioni più ricche possano usufruire esclusivamente delle loro risorse. Così viene meno ogni principio di sussidiarietà e di uguaglianza”. Nello Pizza sottolinea come “Quella contro l’autonomia è una battaglia concreta, abbiamo necessità che se ne parli. Dobbiamo far comprendere il disastro potenziale di questa riforma. Bene l’iniziativa del Pd che si terrà venerdì e sabato a Napoli”
Il giornalista Generoso Picone spiega come “è evidente la necessità di fare chiarezza sulla riforma. In passato il cittadino era riferimento dell’attività dello Stato, oggi l’attenzione si è spostata al territorio con una riforma frutto di un patteggiamento mercantile tra Stato e Regioni, che avrebbe dovuto essere al centro di un dibattito parlamentare o frutto di un’ampia e qualificata maggioranza. Il paradosso è che ci troviamo di fronte a una riforma inserita nell’ambito della legalità ma che rischia di creare sul territorio effetti destabilizzanti, nel segno di una dinsivoltura politica. Sono finite nel dimenticatoio le riforme della sinistra, quel federalismo intelligente che sottolineava la consapevolezza che il Sud fosse un problema nazionale e che il Nord non potesse farcela senza il Sud. Penso alle fortissime ricadute che potrebbe avere su un territorio fragile come il nostro. E’ evidente che tutti devono essere messi nelle stesse condizioni di partenza. Siamo di fronte a una riforma politica e identitaria legata a un’idea di Stato che perde la sua funzione di organismo unitario”