I Blink-182 sono tornati sulla scena musicale col loro nono album in studio One more time nella loro formazione storica: Mark Hoppus (voce e basso), Tom Delonge (voce e chitarra) e Travis Barker (batteria, nonché produttore dell’album). Colpisce particolarmente il singolo One more time, eponimo dell’album, dove i membri della band californiana raccontano a cuore aperto quella che è stata la loro storia turbolenta, fatta di iati feroci dal chitarrista Tom, separatosi dalla band nel 2005 e nel 2015, e tornato ufficialmente solo lo scorso ottobre, l’incidente aereo di Travis nel 2009 a cui è seguito un periodo di forte depressione dovuto al trauma, e il cancro di Mark, che sembra ormai sconfitto e causa scatenante di questa reunion. Lo sfondo che nel videoclip di One more time accompagna la band che suona non è nient’altro che un green screen sul quale vengono proposte le ambientazioni dei videoclip precedenti delle loro canzoni più famose. Il brano, inoltre, manifesta la volontà dei Blink-182 di rimanere uniti, mettendosi alle spalle le vecchie diatribe, e di non voler sprecare tutto questo, in primis la loro amicizia, come affermato da tutti e tre i membri in una delle loro ultime interviste, rilasciata sul loro canale YouTube con Zane Lowe. Innanzitutto Tom: “Questa volta non manderemo tutto a puttane “. Poi Travis ricorda quando, dopo aver ripreso i contatti con Tom qualche anno prima, disse a Mark “Sento davvero che i Blink siamo noi tre, e non appena lo accetteremo e non ci accontenteremo di nient’altro, penso semplicemente che questo sarà il futuro“, sottolineando la singolarità del loro rapporto che, tra alti e bassi, dura da 30 anni e che rende i Blink tali, come confermato infine da Mark, particolarmente coinvolto emotivamente nella causa, in quanto unico membro ad aver sempre fatto parte della band, dal 1992 ad oggi: “Gli ultimi 30 anni ci hanno insegnato che bisogna godersi i momenti in cui si sta insieme e prenderli come delle benedizioni, sostenersi a vicenda, essere gentili, andare là fuori ed essere fedeli a noi stessi“. Insomma, One more time è un brano dal forte sentore melanconico, nel quale, per chi conosce la storia della band, e per chi magari l’ha vissuta nel corso degli anni, il rischio di pelle d’oca o lacrimuccia nostalgica è alto. Per un piccolo spezzone del brano è possibile sentire Travis cantare per la prima volta nella storia della band, e non è un caso che intoni insieme agli altri due membri proprio le parole “one more time” (ancora una volta), come un coro unisono di perdono, unione ed ammissione di colpe al quale ha voluto partecipare anche il batterista.
Se pezzi come One More time, You don’t know what you’ve got, nata da un’idea di Travis che spiega, partendo dalla propria esperienza, come alle volte non si apprezzi pienamente l’incommensurabile dono della vita fin quando non si rischi di perderla e di come, seppur nella loro stranezza, certi eventi accadano per una ragione, e More than you know sono attraversati da una vena emotiva più profonda, con arrangiamenti di musiche e testi maggiormente concettuali e seri, ricalcando lo stile del loro quinto album Untitled (2003), decisamente più allegre sono Fuck Face, nella quale eccezionalmente figura per una seconda volta la voce di Travis, e Turn this off! che fanno tornare alla mente le cosiddette joke songs (canzoni scherzose) pubblicate come tracce bonus nelle diverse edizioni dell’album Take off your pants and jacket (2001). Proseguendo, Terrified appare influenzata da uno stile hardcore e post-punk, giacché questa sarebbe dovuta essere una demo destinata per i Box car racer, band fondata nel 2002 da Tom e Travis e scioltasi dopo solo un anno, i quali, con questo progetto parallelo, hanno avuto l’occasione di sperimentare un suono aggressivo e graffiante, con una chitarra fortemente distorta, tutte peculiarità che ritroviamo pure in Terrified, ma mescolate con il tocco tipico pop punk dei Blink-182. Tom ha voluto sottolineare l’importanza di avere questa canzone, originariamente pensata per i Box Car racer, nell’album One more time, cosa che probabilmente non sarebbe avvenuta in passato: “Io e Travis volevamo davvero fare uscire questa canzone, e sono contento che figuri in quest’album. Possiamo fare quello che ci sentiamo di fare, non ci sono più barriere ora“. Ciò è conclamato anche in Blink wave che appare contaminata dalle sonorità degli Angels & Airwaves, ennesimo progetto parallelo di Tom, soprattutto per il sintetizzatore ed altri piccoli artefici musicali nella fase di missaggio, rivisitati in chiave blink. È emblematico dell’autenticità di questa reunion notare, dunque, come alcuni dei pezzi più riusciti di One more time siano quelli maggiormente influenzati da altre esperienze musicali dei diversi membri.
A creare un clima festoso e frivolo sono, invece, canzoni più strutturate quali Edging, Fell in love, che è un omaggio alla canzone Close to me dei The Cure, uno dei modelli che ha ispirato da sempre la band, o Dance with me, quest’ultima salta all’occhio per il riff iniziale veloce e per il testo disimpegnato e scherzoso, tutte caratteristiche che ricordano i primissimi Blink-182. In tal senso, rimangono fedeli ai dettami del loro sound, senza dover ricorrere a particolari virtuosismi o ad una articolata struttura metrica del testo, preferendo l’immediatezza (semantica e musicale) del genere punk, che in Italia, a causa di un approccio fin troppo retorico persino nella musica, non ha mai trovato un vero e proprio sbocco. La canzone di per sé racconta di una sera in cui semplicemente si balla, come in quelle uscite estive con i propri amici durante le quali non si pensa a nulla e la testa è completamente sgombra da ogni pensiero negativo, dove incontri una ragazza e non vorresti altro che quell’istante, quella danza sfrenata, duri per sempre. Infatti quel “We’re doing it all night long” (Faremo questo per tutta la notte), presente nel ritornello di Dance with me, è il figlio naturale di “Let’s make this last forever” (Facciamo in modo che questo duri per sempre) del loro singolo First Date del 2001. Entrambe le canzoni, dunque, ti catturano e ti portano in un momento ameno, che sembra eterno, come in una fotografia. Il legame tra questi due brani è forte; lo si nota anche dai videoclip: mentre in quello di First Date i Blink-182 scimmiottavano palesemente i Bee Gees, ora in Dance with me i musicisti californiani vestono i panni caricaturali dei Ramones, proponendo una parodia del loro successo Wanna be sedated, con il tipico umorismo adolescenziale che li ha resi celebri. L’intero album risulta scorrevole con le due voci totalmente diverse, quella più bassa e melodica di Mark e quella più squillante e particolare di Tom, che si interscambiano perfettamente, con il chitarrista che prevale nei ritornelli mentre il bassista lo accompagna degnamente nelle strofe e nelle seconde voci, ostentando un ritorno a quella chimica fraterna che con Matt Skiba, aggiuntosi alla band nel 2015 per sopperire alla mancanza di Tom, si era, suo malgrado, persa.
Sono molteplici i rimandi al glorioso passato come nel caso della canzone di apertura Anthem part three che, insieme a Anthem dell’album Enema of the state (1999) e Anthem part two di Take off your pants and jacket (2001), completa una sorta di ipotetica trilogia, nonostante non sia chiaramente ravvisabile un collegamento tra le tematiche dei tre brani, oppure When we were young che già dal titolo rimanda a When I was young dell’EP del 2012 Dogs eating dogs, e tale riferimento è intuibile grazie al primo verso “When we were young the world felt so small” (Quando eravamo giovani il mondo sembrava così piccolo) che rimembra un verso estremamente simile presente nella canzone del 2012: “When I was young the world it was smaller” (Quando ero giovane il mondo era più piccolo). Sembra quasi che in questa intertestualità sia intrinseca la netta decisione di voler mettere da parte l’egoismo dell’io, anteponendo la pluralità della band e il suo bene.
Per concludere, i Blink-182 nell’album One more time mostrano di essere pienamente consci del successo accumulato nel corso degli anni, e giocano su questo fattore melanconico senza, però, rimanere definitivamente ancorati a quel passato lontano, ma rendendosi capaci di evolvere il proprio suono, come sempre fatto. Ciononostante va detto che i Blink-182 sono la riprova di come il piacere della ricorsività sia insito nell’animo umano, come un sentimento atavico da cui non ci si riesce a staccare; per questo a distanza di anni, che essi cantino “Let’s make this last forever” o “We’re doing it all night long“, i Blink-182 sono l’icona di quella spensieratezza e quella vena ironica del non prendersi troppo sul serio di cui, inconsciamente, un po’ tutti necessitiamo.
Francesco Mocella