Di Anna Bembo
In certi paesi d’Italia le campane hanno ricominciato a suonare per l’intervallo. Aule che rischiavano di restare chiuse, oggi tornano a riempirsi di voci, di corse nei corridoi, di cartelle colorate. Sono le voci dei figli delle famiglie straniere, che con la loro presenza ridanno vita a comunità che sembravano destinate al silenzio.
Nei borghi dell’entroterra la matematica demografica cambia volto.
Se a Milano o Roma la proporzione è di un migrante ogni 300 abitanti, nei piccoli comuni si scende a uno ogni 30, in alcuni casi persino meno. Qui ogni nuova famiglia incide profondamente sulla vita collettiva: non solo nel numero degli alunni, ma nell’apertura di bar, nella rinascita delle squadre di calcio, nella possibilità stessa di festeggiare il santo patrono.
Secondo i dati Istat, al 1° gennaio 2025 gli stranieri in Italia sono 5,42 milioni, pari al 9,2% della popolazione nazionale. Numeri che, letti su scala locale, assumono una forza sorprendente. A Prato, ad esempio, un residente su quattro è straniero: un primato europeo che mostra come la presenza migratoria possa ridefinire il tessuto sociale.
Il Nord accoglie il 58,3% della popolazione straniera complessiva, il Centro il 24,4%, il Mezzogiorno il 17,3%. Ma non sono solo le metropoli a raccontare questa trasformazione. Nei piccoli centri montani o collinari, la concentrazione è tale da fare la differenza tra un paese che chiude e uno che resiste. È la lezione che arriva da esperienze come quella di Riace, in Calabria, diventata un modello di accoglienza diffusa: grazie ai nuovi abitanti, le scuole hanno potuto proseguire, le botteghe hanno rialzato le saracinesche, i riti collettivi hanno ritrovato continuità.
L’Italia ha compiuto in pochi decenni una metamorfosi silenziosa. Da terra di partenze e valigie di cartone, dagli anni ’90 è diventata approdo di nuove migrazioni. Questo ha cambiato la mappa demografica del Paese: le grandi città assorbono la presenza straniera, rendendola meno percepibile; i piccoli paesi invece la vivono in modo diretto, quotidiano, trasformandola in una risorsa contro lo spopolamento.
La rinascita avviene lontano dai riflettori, nel ritmo lento delle strade di pietra e delle piazze vuote che tornano a riempirsi. È una rivoluzione silenziosa, che porta con sé sfide e opportunità. Ma una cosa è certa: senza quei bambini che imparano l’alfabeto in italiano, molti borghi avrebbero già perso l’eco della loro storia.