“La mia scrittura solco di penna/è pugno di semenza senza grano/Concima fatiche e sfinimenti/dentro e oltre l’autunno e le sue pieghe”. Scrive così Giuseppe Iuliano nella raccolta “Cantimbanco. Giambi e bagattelle”, edita da Delta 3. Sono versi che condensano lo spirito del poeta altirpino, che porta avanti da anni un percorso di attenta ricerca poetica in cui il linguaggio si fa espressione dell’attaccamento alle radici, del suo desiderio di pace, della fiducia nel potere delle parole e nella bellezza della natura. Emanuela Sica parla del “magma che agita la sua parola, quel canto e controcanto dell’uomo che non accetta la disgregazione del mondo, eppure lo innalza all’altare del suo pensiero, se ne riveste, e nel dolore di abiti lacerati, prova a ricucire sogni e mondi fatti di errante solitudine e letture salvifiche”. Una scrittura, quella di Iuliano, che si fa resistenza “Ribelle smuove canti ed eresie/forza di memoria istinto e voce/altro fiore radice tra le pietre/che conosce di libertà linfa e vigore”.
Versi che rendono omaggio a una terra che continua ad essere bistrattata, abbandonata dai governanti, da giovani e meno giovani tra “nodi di religione e mercato”, “perfidia e avidità di beni”. “Qui non trovi più nessuno/Fuggiamo -sdegno e coraggio – da questi vicoli/nicchia di silenzio/fantasmi di faccia e voce/con gambe di rifiuto/ e cuori di diserzione/Erba tisica selvaggia infesta/pietre, terre e le rughe dell’anima”. Iuliano tratteggia una condizione di esilio in cui costante è la ricerca dell’infinito “Qui la mia casa/trincea/somma anni di resilienza/ e rinnova la conta e l’appello/di nomi Ombre sembianze/dentro e fuori i cancelli d’esilio/porti e deserti , confini dell’anima”. “Resta – scrive Sica – esule nelle sue strade e riannoda il filo del neorealismo che non si spezza ma si allaccia alla verità dell’epos”. “Egli cerca – scrive Antonio Spagnuolo nella prefazione – di sognare conscientemente un suo itinerario metafisico ed individualistico, costituito a tratti anche da una resistenza sui generis per quella secchezza auspicata dalla ragione, per quella incertezza, esistenziale che incombe nel pensiero poetante”. Ritroviamo nelle pagine della raccolta “Intensità concreta – per usare ancora le parole di Spagnuolo – e saggia nello sguardo di chi dispiega infingimenti per un flusso che dovrebbe riscattare le negatività, perchè ‘l’incerta fede replica/rosari e misteri, conforto di amen”
A sottolineare la ricerca costante dell’autenticità Vincenzo Napolillo ” Iuliano sceglie di evocare e narrare in versi la realtà attuale e di assegnare all’arte, frutto d’un travaglio creativo, il compito di salvare, quanto più è possibile, le cose importanti per vivere una vita più autentica e consapevole”. Uno sguardo che dall’Irpinia arriva all’universo “Sono ostinati i rododendri/spaccio di miele tossico/varco di muri/frontiera di case/Candore di gigli consiglia tregua/e vanga. Così mi figuro la pace”. O ancora “Vorrei vedere dissolto nell’aria/lontano sbiadito ricordo/detestato dal grembo materno/il carro da guerra di Efraim/frecce e arco spezzati/per cori eccitati di pace/figlia orfana tra le nazioni”. Un universo in cui la carità finisce troppo spesso per coincidere con la convenienza e la fede si nutre di dubbi “Cantici e benedizioni/indulgenze di stanche litanie/spingono al nulla ansia e petto/Distratta l’anima si svuota/Assenze di un dio lontano/sbarrano porte di case e chiese/smanie di ultima trincea/Smuore la fiamma antica/lampo e luce di buona novella/che, vestita a nuovo e a maschera, si nega”. Persino la natura appare stanca dell’uomo e della sua sete di guadagno “A tregua di sole e ai suoi squarci/la natura scanbia gemiti e miserie/meretrice la coscienza e i suoi profitti”