Quello di Domenico Cuomo, ospite della 54esima edizione di Giffoni, il racconto di un ragazzo che ce l’ha fatta a realizzare il proprio sogno di fare cinema. Conserva un ricordo stupendo di questa esperienza: “Il Giffoni Film Festival è una fonte pura di energia che puoi sfruttare anche per sentirti meno solo. Se oggi che sto dall’altra parte posso aiutare quel bambino che come me era seduto nell’ultima fila del teatro di Giffoni a sentirsi meno fuori dal mondo, ne sono grato”. Anche Domenico, continua, è stato vittima di bullismo “perché ero una persona libera dagli schemi. Ho capito come venirne fuori, comprendendo che chi fa del male è prima di tutto vittima di sé stesso”. A proposito di uomini liberi, ha prestato la voce al giornalista Giancarlo Siani morto per mano della camorra, nel documentario a lui dedicato. Lo vedremo ancora vestire i panni di CardioTrap nella quinta stagione di “Mare Fuori” per la regia di Ludovico Di Martino, ruolo con il quale il giovane attore ha conquistato il pubblico e la critica con la sua interpretazione del giovane musicista che, lo stesso Domenico Cuomo, definisce un’anima innocente che lotta per il bene mettendo al primo posto sempre l’altro.
Un ruolo che è maturato di stagione in stagione, per un ragazzo che ha perso tutto, aggrappandosi ai valori dell’amore e alla libertà, attraverso la musica. “È facile fare del male, quando non hai niente da perdere, vedi Gianni CardioTrap come Mimmo Bruno è considerato un delinquente, ma nessun bambino nasce cattivo, è sempre nell’accettazione di sé e nel volersi bene il superamento della propria zona d’ombra. L’illusione della distanza sta in questo”. Una carriera che cresce insieme a lui, nel 2023 arriverà al cinema con il suo primo ruolo da protagonista in “Mimì, il Principe delle tenebre” diretto da Brando De Sica, un progetto a cui è molto legato che consolida il suo percorso. “Restare umani prima che artisti, medici, insegnanti, per me è quello che conta, il successo e le soddisfazioni che ne vengono dopo sono sola una conseguenza naturale del tuo impegno”. Tutto accade per un motivo, spiega: “Non abbiate paura. A voi ragazzi dico studiate e siate sempre voi stessi, conservate sempre il vostro essere bambini”.
Bonucci: ila mia nuova vita da allenatore
E’ applauditissimo Leonardo Bonucci, superdecorato difensore della Juventus e della Nazionale. Si racconta a partire da un momento difficile della sua carriera “Fallirono molte squadre e tra queste c’erano le mie”. Erano il Treviso e il Pisa. “Mi sono ritrovato per un anno intero senza soldi, ma non ho mollato. Noto che nel calcio di oggi i calciatori prendano tanti soldi e subito, anche quando sono giovani. Il mio consiglio, invece, è pensare innanzitutto alla propria formazione ed a costruire su basi forti la propria carriera ma soprattutto la propria vita. La mia fortuna è stata avere vicino una famiglia che mi ha supportato. Quando ho conosciuto la mia compagna, lei già lavorava e mi ha dato stabilità, mi ha reso una persona migliore e serena. Mi ha sempre considerato come Leonardo e non come un pozzo. Prima di essere personaggi pubblici, noi siamo persone con i nostri valori. Dobbiamo intervenire anche nel calcio moderno. Questo sport è stato da sempre volano di entusiasmo, ma i giovani si stanno disinnamorando. Dobbiamo intervenire al più presto”.
Il tema della 54esima edizione di Giffoni è l’illusione della distanza. Ci sono Paesi calcistici che sono distanti migliaia di chilometri dall’Italia e dal proprio modo di vivere il gioco più amato dagli italiani. Bonucci ha fatto da tempo la propria scelta: “Non giudico i colleghi che hanno scelto di trasferirsi in Oriente, in Arabia o in America. È appunto una scelta e come tale va considerata e rispettata. È capitato anche a me di avere questa opportunità e ho detto no, perché ho scelto il sacro fuoco, la passione e le emozione che mi davano il calcio italiano”.
Quel sacro fuoco che Antonio Conte, un tempo allenatore della “sua” Juventus e adesso nuova guida tecnica del Napoli, ha saputo trasferirgli: “All’inizio il nostro rapporto non è stato tutto rose e fiori – ammette Bonucci – ed è capitato anche per colpa mia, per alcuni comportamenti. Poi ci siamo chiariti ed è stato subito amore. Non sono mai più uscito dal suo progetto di squadra e dalla Nazionale con Antonio. È la scelta migliore che il presidente De Laurentiis potesse fare per il Napoli e per Napoli. Sono sicuro che in azzurro si potrà aprire un ciclo importante, com’è accaduto per noi alla Juventus”. Adesso, però, chiamatelo mister.
Per Bonucci si spalancano le porte del centro tecnico federale di Coverciano: “Comincerò il corso di allenatore Uefa-B. Intraprenderò questo percorso con altri ex calciatori. Non so ancora quale sarà il mio modulo tattico preferito, ma di sicuro dovrà tener conto delle caratteristiche dei calciatori. Voglio essere un allenatore in grado di tirar fuori il meglio dai miei atleti. Quando si sta dietro la riga di gesso, l’allenatore può essere un valore aggiunto, se trasferisce ai propri calciatori non solo i suoi concetti da professionista ma anche tutto sé stesso, la propria umanità. Voglio dare il meglio di me e voglio essere la sintesi dei migliori allenatori dai quali sono stato guidato da calciatore”.
Da Io Capitano a Giffoni, il potere dei sogni: tutti dobbiamo essere liberi di viaggiare
e scoprire il mondo
I pianti, le ferite, la fame, la sete, la prigione, le torture e il danaro da trovare a qualsiasi costo, e condizione, per pagare alla propria vita la ‘libertà’ di mettere piede sopra barconi e gommoni. Storia che accadono tutti i giorni. A raccontarle ai giffoner della sezione Impact, durante la terza giornata di festival, Seydouu Farr e Moussa Fall, i due giovani senegalesi protagonisti del pluripremiato film Io Capitano di Matteo Garrone. Pellicola con cui il regista italiano ha acceso i riflettori sulle vicende dei migranti africani illuminandone gli angoli sconosciuti o peggio ancora ignorati. “Siamo felici di essere a Giffoni per incontrare e parlare con persone della nostra stessa età di una storia che appartiene non solo al popolo africano ma all’intera umanità. Questo film è un controcampo sulla realtà. Una realtà drammatica e complessa della quale si vede solitamente la coda, l’arrivo cioè delle imbarcazioni nelle acque del Mediterraneo. C’è invece molto altro. Troppo, altro”.
Seydouu ha diciannove anni e voleva fare il calciatore. Moussa ne ha ventuno e già sognava di recitare. “Siamo grati a Garrone, un maestro, per questa straordinaria opportunità” sottolineano all’unisono. “Ha creduto in noi dal primo momento e sul set ci ha guidato lasciandoci anche la libertà di improvvisare. È stato tutto incredibile. Fatichiamo ancora a crederci”. Per Moussa, in particolare, la realtà si palesa davanti agli occhi al Festival di Venezia “quando per la prima volta ho visto il film sul grande schermo. Mi sono emozionato, ho pianto tanto. Sono fiero perché ha mostrato per intero la realtà dei migranti. Ha mostrato il volto fraterno e solidale degli africani. Ha mostrato tutto, tutta la realtà”. Sydouu e Moussa hanno pudore a raccontare e raccontarsi. Ma sanno – e sentono- che è giusto farlo per chi quel viaggio della speranza poi diventato viaggio di morte lo ha vissuto per davvero. “Fare questo film è stato in un certo senso come essere al loro fianco. È come se anche noi fossimo partiti. Ne abbiamo avvertito il dolore, la sofferenza, la tragedia. Ancora oggi ne sentiamo la responsabilità. Siamo orgogliosi di aver dato voce alla loro storia”.
Ma la strada non è sempre stata in discesa. “Ci sono stati momenti difficili durante le riprese in cui avrei voluto mollare tutto” confessa Seydouu. “Se non l’ho fatto è grazie a mia madre e mia sorella. A mia madre, tra l’altro, sono grato anche per avermi trasmesso la stessa passione per la recitazione che aveva da giovane”. Moussa tira fuori un aneddoto simpatico e significativo: “Mi sono iscritto ai casting senza sapere di cosa trattasse il film. Quando sono arrivato sul set ho trovato dei panni sporchi da indossare. Mi sono detto: Cos’è questa roba? Quando ho capito che si sarebbe parlato di migranti ce l’ho messa tutta per rendere onore a quanti sono partiti e continuano a farlo, a quanti non sono mai giunti a destinazione. C’ho messo il cuore. Lo stesso cuore che ci mettono queste persone”. Per lui la scena più difficile da girare è stata “quando sono stato diviso dal mio compagno di mio viaggio per essere portato in prigione. Ho pianto come se fosse vero” ammette cedendo poi la parola all’amico: “Mio padre è morto anni fa tra le mie braccia. Quando nel film ho dovuto girare una scena simile non è stato per nulla facile”.
Il film Io Capitano ha fatto tappa anche in Senegal. Per Sydouu e Moussa è stato un dono indimenticabile: “Garrone ha voluto che venisse proiettato nei villaggi. La gente piangeva e si abbracciava. È stato molto intenso. C’erano anche le nostre famiglie. Alcuni ragazzi si sono avvicinati per dirci che, pur avendo voglia di conoscere altre parti del mondo, non sarebbero più partiti a quelle condizioni”. Il tema dell’edizione numero 54 di Giffoni è l’illusione della distanza. “Quando testa e cuore non sono collegate tra loro si perde il controllo delle cose creando una profonda distanza dalla vita” riflette Moussa, a voce alta e cuore aperto. Nella sala Blu della Multimedia Valley le emozioni sono forti. E tante. Come gli applausi che accompagnano la consegna del premio Impact Award ai due attori senegalesi. “Siamo tutti esseri umani. E tutti dobbiamo essere liberi di viaggiare, scoprire, conoscere il mondo. Di sognare. Per il popolo africano non basta comprare un biglietto per farlo. Per farlo deve soffrire la fame, la sete, il freddo, piangere, piangere tanto. Sognare, però – concludono Sydouu e Moussa “non ha colore”.
Margherita Vicario: ho dato voce alle donne invisibili
il suo Gloria! è diventato in poco tempo un capolavoro narrativo sulla condizione della donna in un secolo in cui la musica era fatta soltanto da uomini. Musicista, attrice e regista, Margherita Vicario, durante il terzo giorno del GiffoniFilmFestival ha incontrato i ragazzi della sezione #Workshop dai 18 anni in su. Musicista, attrice, regista: “Ho dato voce alle donne invisibili” ha detto Margherita Vicario nel suo ruolo da regista, spiegando ai giovani presenti in #salaverde alcune nozioni tecniche sull’arte e sul suo essere artista di successo tra musica, teatro e cinema ma anche confrontandosi con loro sugli aspetti della sua vita. Gloria! è stato diretto da lei, all’esordio da regista e Margherita ne ha anche scritto la sceneggiatura
Il film “ha la musica come protagonista”, ha spiegato Vicario e “usa la musica come linguaggio narrativo”, spiegando che l’idea alla base della sceneggiatura è nata dalla volontà di far conoscere a un pubblico più ampio la storia delle donne musiciste e compositrici vissute in diversi orfanotrofi italiani fra il quindicesimo e il diciassettesimo secolo, fra cui le collaboratrici del compositore Antonio Vivaldi. “E’ stato molto emozionante per me girare questo film ma la cosa più bella è stata riuscire a trasmettere alle 5 protagoniste il bisogno che avevo di raccontare questa storia, legato a dovermi anche concentrare sui rapporti umani e sulle relazioni – ha spiegato l’artista – ma il talento non ha una casa in un uomo o una donna, è un po’ il contesto sociale che ne determina la riuscita”. Margherita Vicario ha portato alla luce un vero e proprio spaccato di storia straordinario attraverso le note musicali e la tenacia e la forza straordinarie tutta al femminile della “sorellanza”: “La cosa che mi ha colpito è che queste donne potevano suonare solo all’interno di questi istituti ed era impensabile potessero farlo fuori da lì e quindi un po’ il senso del film è raccontare che c’erano eccellenze pazzesche ma qualcuna di loro avrà avuto una propria fantasia da autrice. E’ un’idea fuori dai tempi”. Margherita Vicario e la “cura” consapevole per i temi trattati e per le emozioni da suscitare nel pubblico: un tema venuto fuori dall’incontro con i ragazzi. “La necessità primaria è personale, rivolta verso se stessi. Spesso nelle mie canzoni esorto gli ascoltatori ma in realtà all’inizio è sempre un dialogo tra me e me. Sono la prima a cui mi rivolgo. L’esigenza nasce un po’ prima dentro di te. Cerchi di tenere le cose autentiche in un mondo iperproduttivo. E’ vero che ci metto molta cura – ha detto – è una mia volontà di voler conquistare questa iperproduttività. E’ un messaggio che voglio dare fuori anche al contesto artistico in cui provo ad inserirmi”. Una famiglia – quella di Vicario – dove l’arte ha fatto da padrona ma non ha mai “facilitato” il compito e il lavoro intrapreso dall’artista Margherita che sottolinea la sua identità marcata e unica. Lo ha ribadito anche ai ragazzi che hanno riempito la sala che l’hanno sollecitata sulla questione. Infine, Margherita, ha ricevuto il premio speciale “esplosivo” del #GiffoniFilmFestival: l’”exploded award”.
A Giffoni torna la serie “Sul più bello”
“Sul più bello” ritorna a Giffoni: dopo le fortunate presentazioni dei film della trilogia questa volta a #Giffoni54 i giurati hanno l’occasione di vedere in anteprima il primo episodio della nuova serie, prodotta da Eagle Pictures in collaborazione con Prime Video, che dal 29 luglio sarà disponibile su Prime Video.
I giffoner incontrano la regista Francesca Marino, il co-sceneggiatore Roberto Proia e i protagonisti della serie Ludovica Francesconi, Jozef Gjura, Gaja Masciale, Diego Giangrasso, Denise Capezza e Giulio Cristini. Ad anni di distanza dall’ultimo film i personaggi sono ormai adulti, maturati e forti delle loro esperienze lasciano andare i momenti del passato. Le vicende che i protagonisti vivranno in questa serie sono affrontate in modo più realistico e adulto rispetto ai tre film precedenti, rivela la regista Francesca Marino.
Per Jozef Gjura, interprete di Jacopo, è un’occasione più che rara sviluppare un personaggio in un arco così lungo. Anche Ludovica Francesconi, nella serie la protagonista Marta, rivela di essere cresciuta, in questi anni, insieme al suo personaggio. Marta diventa adulta ed è un grado di rivalutare le sue esperienze da un punto di vista per lei inedito.
Rivive in un film d’animazione la vera storia del ciclista Gino Bartali
I piccoli giurati della sezione Elements +10 tra applausi e silenzi in sala hanno accolto con grande entusiasmo il film d’animazione La Bicicletta di Bartali scritto da Israel Cesare Moscati e Marco Beretta per la regia di Enrico Paolantonio. Prodotto da Annita Romanelli e distribuito da TVCO, questo film è un omaggio a un grande uomo di sport, un campione del ciclismo che ha saputo dimostrare il suo valore di essere umano, anche durante i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale.
Basato sul leggendario campione ciclista italiano Gino Bartali e sulla sua eredità morale. Seguendo le orme di Bartali, che durante la Seconda Guerra Mondiale contribuì a salvare la vita di molti ebrei, LA BICICLETTA DI BARTALI racconta la storia di due adolescenti moderni che sfidano i pregiudizi nella Gerusalemme di oggi. Una storia di amicizia e sport raccontata in due linee temporali distinte: il passato e il futuro.
Il regista e i produttori Evelina Poggi, Sabrina Callipari e Luca Milani di Rai Kids, presenti al termine della proiezione hanno risposto alle tante domande dei giurati in maglia bianca, estremamente incuriositi dalla figura di Gino Bartali e da cosa ci fosse di vero all’interno del cartone animato.
La storia proposta è di base fondata su fatti realmente accaduti, eccetto per alcune parti romanzate, con il semplice intento di rendere il racconto più coinvolgente possibile.
È una storia di amicizia tra popoli che sono comunemente noti per essere in continuo conflitto, come raccontano anche i giornali e telegiornali odierni. Realizzato nel corso di tre anni, iniziato e terminato prima dello scoppio della guerra in Medio Oriente, i ragazzi sono stati toccati ancora di più da questa tematica, che vede protagonisti due ragazzi – un arabo e un ebreo – con la stessa passione per il ciclismo.
Come è stato fatto notare da una piccola giurata, ne LA BICICLETTA DI BARTALI viene trattato anche quello che è il tema del #Giffoni54: l’illusione della distanza. Le due realtà che si contrappongono tra la Secondo Guerra Mondiale e i tempi moderni, in realtà offrono la stessa tipologia di sentimenti e di distanze nel tempo e nello spazio, che possono essere colmate solo con la comunicazione.
L’inserimento di simbolismi come la vipera e il lancio di un sasso, a colpito l’attenzione dei giurati, considerandoli come due facciate della stessa medaglia. Mentre l’animale è noto per essere imprevedibile quando decide di attaccarti per morderti ed avvelenarti; allo stesso tempo il lancio del sasso da parte di un uomo, è ugualmente un atto imprevedibile, realizzato solo per arrecare del male.
Una nota importante va riservata alla canzone di chiusura del film, eseguita da una cantante israeliana molto attiva a favore della pace, il testo dice: “non esiste un unico vincitore ma un unica anima che ci unisce”. Il messaggio più forte che deriva da questo prodotto richiesto dalla Rai è di non perdere mai la speranza e continuare ad avere fiducia verso il prossimo, con la speranza che la generazione dei ragazzi possa colmare i vuoti e riparare ai danni procurati dagli adulti. La scelta di ambientare la storia a Gerusalemme e in Italia è dettata dalla provenienza dei personaggi principali. Mentre sul lato medio orientale ci sono un ragazzo ebreo e uno arabo; in Italia, la scelta di ricreare Firenze e Assisi è giustificata dalle origini di Gino Bartali, il quale impiegò dieci ore ad andare e dieci ore a tornare, per portare documenti nascosti sotto il sellino della sua bicicletta, per salvare la vita a centinaia di ebrei destinati alle camera a gas.