“Non c’è altra strada se non fare una nuova rivoluzione, reimpadronirsi degli strumenti di gestione della società, costruire nuove forme di democrazia a partire da una partecipazione dal basso”. Lo sottolinea con forza la giornalista e parlamentare Luciana Castellina, storica esponente del Partito Comunista, nel corso del confronto promosso dall’associazione Fausto Addesa al Circolo della stampa nel segno della lezione di Aldo Moro ed Enrico Berlinguer. “Assistiamo a un dibattito politico – spiega Castellina – tutto centrato sull’orientamento elettorale degli italiani, secondo gli ultimi sondaggi televisivi, quando il vero problema è che il 70% dei giovani non va a votare. Dobbiamo fare i conti con la crisi della democrazia, riavvicinare i giovani alla politica rendendoli protagonisti, promuovendo nuovi strumenti di partecipazione, Penso alla battaglia contro la privatizzazione dell’acqua, al successo del referendum a cui non è seguita un’azione concreta in difesa dell’acqua pubblica. Ma anche a questioni come il rinnovamento tecnologico che rischia di ridurre del 70% l’occupazione, alla sfida della transizione ecologica di cui nessuno si occupa in Parlamento. E’ pericoloso non fare niente perché oggi sappiamo esattamente a quale futuro andiamo incontro se non agiremo in difesa del pianeta”.
Malgrado ciò, confessa di essere ottimista “La cosa più bella è stata vedere in piazza San Giovanni sventolare le bandiere blu delle associazioni cattoliche e quelle rosse del Pci. E’ chiaro che quello che viviamo è un momento di forte gravità, non è possibile nessun compromesso sociale, né la soluzione può arrivare dalle riforme, c’è bisogno di una modifica profonda dei nostri sistemi di produzione”. Ricorda il primo incontro con Berlinguer nella fila del Fronte della Gioventù, il dialogo costante all’interno del mondo studentesco con la Democrazia Cristiana.
“Proprio in virtù di questi rapporti, Berlinguer mi chiese di pregare Malfatti, alla guida delle giovanili della Dc, di partecipare come osservatore ad un Congresso dell’Unione studenti a Varsavia. Non accettò ma volle che al suo posto partecipasse Lucio Magri che stimava molto e considerava il suo alter ego. Le circostanze in cui si stabilì questo accordo furono curiose: allora, era il ’53 e la guerra fredda imperava, che io andassi nel suo ufficio in piazza del Gesù, o che lui venisse nella sede della Fgci, a Botteghe Oscure, era impensabile. Terreni neutri non ce n’erano, tantomeno era adatto un bar. E fu così che salii sulla macchina di Malfatti e andammo a parlare, chiusi nella vettura, in piazza del Quirinale, disturbati da un ambulante che voleva mi comprasse una rosa, che infatti, per togliercelo di torno, mi regalò.”. Si sofferma sul contributo prezioso al dibattito politico arrivato dalla Comunità del Porcellino di Roma, sulla stagione degli anni Settanta in cui si afferma la battaglia operaia, la loro capacità di incidere sulla politica, grazie ai Consigli di fabbrica. “Ma sono – sottolinea – anche gli anni in cui comincia la crisi che proseguirà fino ai nostri giorni. Le grandi potenze della terra, dagli Usa al Giappone, si incontrano a Tokyo e prendono atto che il sistema capitalista non ha funzionato, che troppa democrazia nel mondo non è accettabile, di qui la necessità di affidare la politica ai tecnici, comincia quella che sarà chiamata governance. I programmi di centrodestra e centrosinistra finiscono per essere sempre più simili, fino a giungere al processo di globalizzazione, alla controffensiva conservatrice con Thatcher e Reagan. Arriviamo così ai nostri giorni in cui dobbiamo difendere continuamente i nostri diritti”
Spiega come non ami il termine sinistra che è sempre ambiguo, ricorda con emozione l’incontro con Ciriaco De Mita ad Avellino “Ci siamo divertiti molto, anche se i giovani in sala ci guardavano come se parlassimo della luna. De Mita era un uomo molto ironico, espressione della sinistra della Democrazia Cristiana. Abbiamo rievocato i tempi eroici degli anni ’60 e ’70, in cui la politica riusciva ad avere un rapporto con la società, in Parlamento prendeva forma un complesso meccanismo di mediazione, dopo due anni a discutere anche delle virgole, si andava in aula, il Pci votava contro ma la riforma ottenuta era sempre il frutto di un confronto. Era questo lo schema dei rapporti tra Dc e Pci. Oggi in Parlamento si va per insultarsi, mentre basta leggere gli atti parlamentari di allora per comprendere il livello con cui si affrontavano i problemi. Il presente ci restituisce un inaridimento dei canali di comunicazione, ridotta a propaganda, uno svuotamento del sistema democratico”. Spiega come “Dobbiamo far capire ai giovani che la politica deve essere fatta in prima persona, era questa la forza del Pci, ognuno si sentiva soggetto del cambiamento, mentre oggi diciamo si o no a proposte che ascoltiamo dalla televisione”. Ribadisce come “Dobbiamo rimboccarci le maniche, spiegare ai giovani che si può cambiare se si rianimano le forme della democrazia”. Non risparmia strali a un governo “pessimo perchè cancella spazi di libertà, come la possibilità di fare manifestazioni, riduce le opportunità di ricostruzione della vita democratica”
Sottolinea il valore della lezione di Berlinguer “Voleva dialogare col mondo cattolico e immaginava che fosse possibile una mediazione tra democristiani e comunisti. ma il dialogo tra Moro e Berlinguer durerà molto poco, fino alla morte di Moro, la stessa Dc diventerà altro, condizionata da un mondo sempre più violento. Lo stesso Berlinguer capirà presto che non è possibile portare l’esperienza del Pci a livello istituzionale, che un accordo con la Dc sarebbe un errore ma sarà messo in minoranza nel Partito. Sono stati i suoi compagni a mettere a tacere la sua eredità”. E spiega come il leader del Pci prenderà coscienza di questo errore, proprio “dopo il terremoto dell’Irpinia, che si fa testimonianza del degrado della politica e della corruzione. Sono gli anni in cui Berlinguer comincia a porre l’accento sulla questione ecologica, rompe con l’Urss sottolineando come si sia spenta la forza propulsiva della rivoluzione d’ottobre a e in un’intervista a Scalfari critica con forza la democrazia”. Ricorda come “Poco prima di morire chiederà a noi eretici del Manifesto di rientrare nel Partito. Quando sceglierà di rientrare, troverò un partito irriconoscibile. Sarà un declino progressivo che si concluderà con lo scioglimento del Partito”.
E sull’eredità di Moro spiega come “si è perduta l’occasione di fare tesoro di un’energia che veniva da un movimento operaio, che rappresentava una grande forza democratica. L’errore è stato quello di non aver capito che quella che arrivava dal Pci era una grande risorsa per il paese e la democrazia”
E’ Antonio Limone, tra le anime dell’associazione Fausto Addesa, a ricordare come ad accomunare Moro e Berlinguer fossero l’attenzione al bene comune e il coraggio del dialogo “Una lezione che appare ancora più forte in un momento difficile per la città in cui prevale lo scontro”. Ribadisce la necessità di guardare al futuro e ai giovani, a partire dalle sfide a cui siamo chiamati “Penso alla questione climatica, alle disuguaglianze, all’etica della politica come la intendeva Berlinguer”. Roberto Montefusco, segretario provinciale di Sinistra Italiana, pone l’accento sul carisma di una figura come quella di Berlinguer che derivava dal rappresentare un sistema definito di valori, un popolo in cammino “La sua grande ambizione era quella dell’incontro tra due grandi partiti di massa per mettere in sicurezza la democrazia, negli anni in cui cominciava lo stragismo. E’ stato un politico moderno e visionario, a partire dalla sua denuncia della degenerazione del sistema, nel suo pensiero ritroviamo semi che possono guidarci anche oggi”.
Gianfranco Nappi, storico dirigente del Pci, spiega come “paghiamo ancora oggi il prezzo di non aver fatto i conti con le problematiche che ponevano Moro e Berlinguer. Se Berlinguer voleva dare alla forza del Pci uno sbocco in termini di governo, Moro poneva alla Dc una riflessione su politica e potere. Il livello della rappresentatività appariva ristretto, non vi trovavano spazio le istanze dei giovani, degli operai, del movimento femminista, di qui la sfida di allargare la base della democrazia. Era questa l’idea da cui nasceva il Compromesso Storico. Dopo la morte di Moro saranno altre spinte a prevalere nella Dc e nel Pci, lo stesso Berlinguer capirà che il Partito deve seguire altra strade. Fino alla svolta del terremoto con la Dc che va nella direzione opposta, nel segno della competizione di potere con i socialisti che porterà al Pentapartito”. Ribadisce come Berlinguer credeva nella possibilità del rinnovamento della società, capace di dialogare con sacerdoti e operai “Era convinto che non si fa politica senza un popolo di riferimento e senza critica della società”
E’ quindi il consigliere comunale di opposizione Amalio Santoro a porre l’accento sull’esigenza di un confronto che “nasce dalla volontà di dare vigore a una tradizione politica come quella del cattolicesimo liberale. In un tempo difficile come quello che oggi viviamo è fondamentale tornare alle grandi culture politiche e ai grandi maestri. E spiega come “Si avverte oggi tra i giovani un rinnovato bisogno di politica, di qui la necessità di ricostruire soggetti politici, di unire le forze per resistere cercando di difendere la democrazia dalla peggiore destra che è al governo”. Nella sala, gremita, quasi tutti gli esponenti storici del Pci o della sinistra irpina, da Giuseppe Moricola ad Alberta De Simone.