di Virgilio Iandiorio
In questi ultimi cinquant’anni posso affermare, senza presunzione e saccenteria, di essere stato “testimone” di cambiamenti epocali. Nel 1971, fresco di laurea, ebbi in regale cinquanta dollari da mio zio Nicola, che viveva negli stati Uniti. Corsi subito a comprare una macchina da scrivere Olivetti portatile. Mi sembrava di avere il mondo sotto le mie dita. Passarono pochi anni e quella macchina da scrivere era stata soppiantata dalle ultime macchine, quelle con il display, che ti consentivano di apportare le correzioni prima di imprimere i caratteri sul foglio.
Non finì più la corsa all’innovazione. Arriviamo agli anni novanta e alle dotazioni delle scuole di computer e dei laboratori di informatica. Si faceva a gara tra gli istituti a chi aveva il laboratorio di informatica più nuovo e più fornito di strumentazioni. Furono spesi parecchi soldi, non solo per l’acquisto delle macchine, ma anche per il cablaggio dei locali, cioè dei collegamenti e impianti fisici per l’interconnessione dei dispositivi.
Sembrerebbe che tutto procedesse bene; ma si fece avanti prepotentemente una preoccupazione. Se gli alunni usano i mezzi informatici anche per i loro compiti in classe, le loro prove ufficiali non sono frutto di personale elaborazione. E così, al momento dell’Esame di Stato venivano chiusi a chiave i laboratori di informatica negli istituti dove si svolgevano le prove. Per un anno intero in classe si insegnava ad usare i computer, che venivano banditi al momento dell’esame.
Si è verificato la stessa cosa per i telefonini. Vanno proibiti in classe, quasi fosse un reato per gli alunni avere tra le mani il telefonino. Alle prove in classe, bisogna sorvegliare gli alunni che non si facciano suggerire dallo smartphone le traduzioni o le risoluzioni dei problemi.
Con l’Intelligenza Artificiale siamo alla stessa solfa. Da un lato si vorrebbe averla fedele alleata, dall’altro si teme di rimanere ad essa soggiogati. Noi, forse, non ce ne accorgiamo, ma siamo già ampiamente avvolti dalla rete Internet. Se apri un link, la selezione di una parola determina l’accesso del browser a una pagina web. E di certo dopo qualche minuto ti arriva l’email, in cui ti si dice che, visto il tuo interessamento per l’argomento, puoi trovare altri testi che trattano temi analoghi. E te li indicano.
Per dirla in breve, se accendi un computer ti osservano mille occhi, che non sai nemmeno dove si trovino. Se ci facciamo prendere dalla paura, dovremmo rimanere lontano, ma molto lontano, da computer, internet, web ecc.
Nella scuola, per esempio, l’IA può essere utilizzata per accrescere la creatività degli studenti, per abituarli alla collaborazione e alla riflessione sulle cose che ci stanno davanti. Non demonizzare i cellulari, ma far comprendere agli studenti come questi strumenti possono essere utilizzati a scopo didattico.
Nessuno, io credo, pensa di sostituire le persone con l’IA; ma non si commette nessun reato se una risorsa, che è ormai parte della nostra vita, venga saggiamente utilizzata. La risposta sbagliata a questo problema è quella data con i divieti e con le fantomatiche proposte risolutive, che generano solo sterili polemiche.