Dopo il voto del 25 settembre, i primi passi della XIX legislatura con l’elezione dei presidenti delle Camere prefigurano una radicale ristrutturazione del centrodestra italiano con il declino della leadership berlusconiana e il passaggio del testimone a Giorgia Meloni, paladina di una destra nazionalista, antieuropea, sovranista e per certi aspetti decisamente reazionaria. Ad accelerare questa transizione è stato il clamoroso errore del fondatore di Forza Italia, che ha ingaggiato un braccio di ferro con la leader di FdI convinto di poterle dare una lezione, ed è invece riuscito solo a far emergere la sua irrilevanza politica e numerica. Irritato per gli sviluppi di una trattativa di governo che non andava secondo i suoi voleri, il Cavaliere ha dato ordine ai suoi di non partecipare alla prima votazione per l’elezione del presidente del Senato, pensando così di dimostrare all’alleata quanto il contributo dei “moderati” del centrodestra fosse indispensabile per il raggiungimento degli obiettivi della coalizione. Un calcolo sbagliato, vanificato da un altro errore commesso dai capi delle opposizioni di sinistra, Enrico Letta e Giuseppe Conte, che hanno dato indicazione di votare scheda bianca. Se, come hanno fatto il giorno successivo alla Camera, avessero indicato un candidato “di bandiera”, sarebbe stato più facile far emergere eventuali franchi tiratori nascosti nell’anonimato del voto segreto. Così non è stato, ed ora è tutto un vano rincorrersi di sospetti e accuse, che non porteranno ad alcun chiarimento ma lasceranno un sedimento di polemiche nelle opposizioni. Ora, il rovesciamento della catena di comando nel centrodestra svuota di contenuto la pretesa berlusconiana di garantire la presentabilità della nuova maggioranza in Europa e più in generale nelle relazioni internazionali. Forza Italia resta parte integrante del Partito popolare europeo che attualmente guida due delle tre istituzioni comunitarie (Commissione e Parlamento); ma il prossimo governo italiano, con alla testa il tandem Meloni-Salvini, guarda altrove, alle formazioni più conservatrici e nazionaliste, che mirano a ridurre il già esile collante politico dell’Unione e a spostare il baricentro del potere verso gli Stati nazionali. Polonia, Ungheria, i governi del blocco orientale con i partiti loro alleati in Spagna e Francia saranno il punto di riferimento del nuovo esecutivo che sta per nascere a Roma, che si collocherà su una linea alternativa al ticket Parigi-Berlino che finora ha presieduto ai destini europei potendo contare sul volenteroso consenso italiano.
Il panorama che si sta delineando pone problemi anche al Partito Democratico, che al primo appuntamento parlamentare ha fallito l’obiettivo di organizzare la composita area delle opposizioni. Nei prossimi mesi il Pd sarà impegnato in una vigilia congressuale che si annuncia tesa e litigiosa. Tempi troppo lunghi potranno favorire incursioni dei Cinque Stella, che ambiscono a rappresentare una sinistra alternativa a quella che, dalla maggioranza o all’opposizione, ha finora raccolto l’eredità dei grandi partiti di massa della prima Repubblica. Per il Pd si apre una fase di elaborazione della sconfitta che lascerà ampi spazi di manovra ad una destra non più guidata da un conciliante Silvio Berlusconi ma da una ben più agguerrita Giorgia Meloni, che ora si appresta a giocare da posizioni di forza la partita della formazione del primo governo della legislatura.
di Guido Bossa