di Stefano Carluccio
Negli anni Ottanta l’Irpinia era un grande cantiere. Le ruspe, le gru e i capannoni che nascevano nella valle dell’Ufita, nel Calaggio o nell’area di Pianodardine rappresentavano la speranza di rinascita dopo il terremoto del 1980. La ricostruzione non fu soltanto materiale: doveva essere anche economica, un’occasione per dare lavoro e futuro a una terra ferita. A distanza di oltre quarant’anni, quelle stesse zone industriali raccontano un’altra storia, fatta di potenzialità inespresse, di crisi cicliche, ma anche di nuove sfide e tentativi di ripartenza.
Le aree industriali di Avellino, Valle Ufita, Calaggio, Solofra e Nusco nacquero come poli produttivi integrati, capaci di attrarre investimenti e creare occupazione stabile. Per un certo periodo il modello sembrò funzionare: le fabbriche di elettrodomestici, metalmeccanica, conciaria e automotive diedero lavoro a migliaia di persone. Il tessuto economico irpino, tradizionalmente legato all’agricoltura e alla piccola impresa, visse un periodo di apertura e modernizzazione.
Poi la globalizzazione e le delocalizzazioni hanno lentamente svuotato quei capannoni. Molte aziende storiche hanno chiuso o ridimensionato la produzione. Oggi, in diverse zone, restano strutture abbandonate e strade semideserte. Le difficoltà legate alle infrastrutture, la burocrazia complessa, l’assenza di una visione condivisa e la frammentazione amministrativa hanno pesato a lungo. Eppure, l’Irpinia industriale non è una pagina chiusa.
Negli ultimi anni la politica nazionale e regionale ha riportato l’attenzione sulle aree interne, riconoscendo il loro ruolo strategico per lo sviluppo del Mezzogiorno. La Zona Economica Speciale della Campania, che comprende diversi poli irpini, ha introdotto incentivi fiscali e semplificazioni amministrative per chi investe. Ma il vero potenziale di rilancio sembra concentrarsi sulla logistica.
La valle dell’Ufita occupa una posizione centrale rispetto alle direttrici che collegano Napoli, Bari e il Nord Italia. Il futuro scalo merci dell’Alta Velocità – Alta Capacità Napoli–Bari, previsto nell’area industriale di Flumeri, potrebbe rappresentare una svolta decisiva. Una volta operativo, consentirà collegamenti rapidi con i grandi porti del Sud e con i mercati del Centro-Nord. Questo nuovo nodo logistico potrebbe favorire l’insediamento di imprese manifatturiere e agroalimentari, trasformando l’Irpinia in una piattaforma produttiva e commerciale di rilievo regionale.
Parallelamente, la transizione ecologica apre scenari inediti. Diverse realtà locali stanno investendo in energie rinnovabili, economia circolare e mobilità sostenibile. Nell’area di Pianodardine si sperimentano progetti di produzione di biogas e idrogeno verde, mentre in altre zone si punta sull’efficienza energetica e sul recupero dei materiali. L’Irpinia, con la sua ricchezza d’acqua e la qualità ambientale del territorio, può diventare un laboratorio per un’industria pulita e sostenibile, capace di unire innovazione e rispetto per l’ambiente.
Un altro nodo cruciale è quello della formazione. Le imprese lamentano da tempo la difficoltà di reperire personale tecnico qualificato, soprattutto tra i giovani. Gli istituti professionali e tecnici di Avellino e Ariano Irpino stanno cercando di rispondere con percorsi più moderni e legati alle esigenze produttive del territorio. L’obiettivo è costruire una filiera di competenze che unisca scuola, università e imprese, creando figure specializzate pronte a lavorare nella nuova industria 4.0.
In questa prospettiva, la collaborazione con i centri universitari regionali e con i poli di ricerca può essere decisiva. Sono allo studio progetti per la creazione di un centro dedicato all’innovazione tecnologica e ai materiali sostenibili, in grado di attrarre investimenti e far crescere nuove professionalità locali.
Restano però problemi strutturali che frenano la crescita. Le strade di collegamento tra le aree industriali sono spesso in cattive condizioni, i collegamenti ferroviari interni scarsi e il trasporto pubblico inadeguato alle esigenze dei lavoratori. A ciò si aggiunge una burocrazia ancora lenta, che scoraggia gli investitori. Per affrontare queste criticità, si discute da tempo della necessità di un coordinamento unico che riunisca i vari consorzi industriali, gli enti locali e le associazioni di categoria. Una gestione più centralizzata e strategica potrebbe facilitare la manutenzione delle aree, l’attrazione di nuovi investimenti e la pianificazione di lungo periodo.
La rinascita delle zone industriali non può comunque dipendere solo dai fondi pubblici. Occorre un cambio di mentalità diffuso. Le imprese devono imparare a collaborare tra loro, a condividere progetti, infrastrutture e know-how. L’aggregazione può diventare un fattore di competitività, soprattutto in un territorio dove le dimensioni aziendali restano ridotte. Esperienze come i distretti del cibo o le reti d’impresa dimostrano che l’unione di risorse e strategie può produrre risultati concreti.
Il rilancio economico dell’Irpinia passa dunque da una combinazione di elementi: infrastrutture moderne, transizione verde, innovazione e formazione. È un percorso complesso, ma non impossibile. In una terra che ha saputo rialzarsi dopo le macerie del terremoto, la capacità di reinventarsi non è mai mancata.
Oggi, tra capannoni silenziosi e nuovi cantieri che si aprono, si gioca una partita decisiva. Se la visione sarà condivisa e la cooperazione reale, l’Irpinia potrà tornare a essere non solo un luogo di memoria industriale, ma un territorio capace di produrre lavoro, tecnologia e futuro.



