Una riflessione a tutto campo sul reato di plagio che si fa strumento per comprendere le trasformazioni della società e le contraddizioni che vive ancora oggi la giustizia. E’ il senso del confronto tenutosi ieri pomeriggio, nella sala Penta del Palazzo della cultura, a partire dal volume Ladri di persone. Storie di plagiari e di plagiati di Marco Provera, nell’ambito del ricco cartellone degli “Incontri in Biblioteca”. E’ il professore Leonardo Festa a illustrare il volume che ricostruisce la storia del reato di plagio nell’Italia contemporanea, attraverso sentenze, cronache giudiziarie, atti parlamentari e documenti d’archivio, dalle codificazioni preunitarie sino ai disegni di legge sulla manipolazione mentale degli inizi del nostro secolo, con spunti di diritto comparato. A dialogare con l’autore, nel corso di un dibattito promosso in collaborazione con l’Ordine degli Avvocati di Avellino, la Camera Penale Irpina e la Camera Civile di Avellino, il giudice Matteo Zarrella e l’avvocato Nello Pizza.
E’ Matteo Zarrella a soffermarsi sul significato del reato di plagio, abolito nel 1981, che puniva con la reclusione da 5 a 15 anni chi metteva l’altro in uno stato di soggezione e dunque in condizione di schiavitù. “La chiave per comprendere il reato di plagio, abolito nel 1981 ma che tanti oggi vorrebbero ripristinare – spiega Zarrella – anche a causa dei pericoli rappresentati dalle nuove tecnologie, che minacciano di manipolare le coscienze, è proprio nella parola schiavitù. Un reato che diventa, però, difficile da dimostrare, poichè le relazioni sono fatte di influenze reciproche e tutto rischia di essere considerato plagio, dal rapporto tra due innamorati a quello tra maestro e discepolo”. Un’analisi, quella di Provera che, come chiarisce Zarrella, parte dal caso di Aldo Braibanti, intellettuale scomodo, professore con un forte ascendente sui suoi allievi, tanto da aver trasformato la sua casa in una piccola accademia. Uno di questi allievi, Giovanni Sanfratello deciderà di abbandonare gli studi e di andare a vivere con il suo Maestro. Il padre del Sanfratello denuncerà Braibanti per plagio, e pur di separarlo dal professore, preferirà rinchiuderlo a Verona in un manicomio, dove sarà sottoposto a numerosi elettroshock. Una vicenda raccontata nel bellissimo film “L’uomo delle formiche”. Zarrella sottolinea come un processo, come quello di Braibanti, non possa essere letto se non tenendo conto del contesto sociale e culturale del tempo “Non possiamo dimenticare che la legge Giolitti prevedeva l’internamento in manicomio per ogni genere di stravaganza e ribellione alle regole imposte dalla società. Né l’omosessualità di Braibanti era accettata dalle convenzioni del tempo. La scelta del padre di mettere il figlio in manicomio rispondeva alla necessità di dimostrare che Braibanti lo aveva reso incapace di intendere e di volere. Un processo il cui verdetto appare scontato fin dall’inizio. Lo stesso pubblico ministero finirà per raccogliere solo prove a carico dell’imputato, evitando accuratamente quelle a suo discarico, agendo, di fatto, come organo dell’accusa”. Poichè “Braibanti era un intellettuale disorganico ed era chiaro che il processo era innanzitutto alla sua omosessualità. Secondo l’accusa, il professore aveva un piano ben preciso per assoggettare il giovane. Ad affiancare il pubblico ministero nel processo d’appello sarà anche l’avvocato irpino Alfredo De Marsico che non risparmierà il povero Braibanti. L’uomo sarà condannato a nove anni, divenuti quattro in appello, pena confermata in Cassazione. La pena sarà ridotta per il suo passato di partigiano e antifascista. Ci vorranno la forte protesta di intellettuali come Pasolini, Maraini, Gozzano, Moravia e il caso di don Grasso, sacerdote, ugualmente accusato di plagio, per giungere alla cancellazione del reato dal Codice Penale”.
L’avvocato Nello Pizza ricorda come il processo a Braibanti fosse stato fortemente mediatico e condizionato dall’opinione pubblica, a differenza di quello a don Grasso, più rispettoso del diritto “Basti pensare alla sentenza del giudice d’appello che appare del tutto inaccettabile, secondo i canoni del diritto. La risonanza mediatica dei processi è sempre pericolosa. Lo vediamo ancora oggi”. E sottolinea come la vera vittima sia stata Giovanni Sanfratello che “nel dibattimento finale non avrà il coraggio di accusare l’uomo che ha amato. La sua vita sarà segnata per sempre. Mentre Braibanti aveva compreso presto che il suo sacrificio era necessario perchè la società potesse cambiare”.
E’ quindi Marco Provera a spiegare come la storia del reato di plagio si intrecci con quella della società e della politica del tempo “Il reato di plagio non esisteva nel codice penale del Regno di Sardegna e nel codice napoleonico, sara’ candellato dopo l’abolizione della schiavitù Nel 1889 con il Codice Zanardelli viene reintrodotto e non è certo un caso, la sua reintroduzione è strettamente collegata ai primi passi della politica coloniale italiana in Eritrea”. E spiega come in ballo “nel processo a Braibanti, c’era innanzitutto la volontà di ristabilire l’autorità della famiglia e delle istituzioni, poichè, in fondo, il plagio consiste sempre nell’allontanare le persone dal loro milieu esistenziale. Si assiste ad un forte mutamento antropologico, il matrimonio da sacramento diventa istituzione”. A caratterizzare l’incontro gli interventi degli avvocati Francesco Saverio Iandoli in rappresentanza dell’Ordine, di Carmen Pellino, in rappresentanza della Camera Civile di Avellino e dell’avvocato Gaetano Aufiero che pone l’accento sulle contraddizioni che vive ancora oggi la giustizia “Dobbiamo fare i conti con una giustizia malata, con giudici che finiscono con l’appiattirsi sulle posizioni del pubblico ministero. Si avverte con forza l’esigenza di una riforma”.