Per fare una giunta ci vuole maggioranza, una vera maggioranza. La sindaca Laura Nargi oggi non ce l’ha. Dovrà trovarla, e presto. Altrimenti è senza giunta, e la città è ferma. Al momento la sindaca ha dalla sua parte 12 consiglieri comunali: cinque di Siamo Avellino, il suo gruppo, quattro dei Coraggiosi, due di Forza Italia e uno di Moderati e Riformisti (13 voti, considerato che vota anche la sindaca).
Nargi ha preso tempo, ha lasciato intendere che un’amministrazione a scadenza non avrebbe senso, ha detto che la città va amministrata secondo una visione: Avellino potrebbe diventare il cuore verde della Campania, ha spiegato in consiglio comunale. Comunque potrebbe evolversi in tante cose belle. La sindaca non si accontenta allora di un governo di scopo, ma vuole amministrare come si deve, non vivacchiare, non sopravvivere politicamente, ma lavorare nell’interesse della città. Ha ragione.
Anche perché un governo di scopo presupporrebbe che ci fosse una sorta di ragione di Stato, una necessità, una urgenza. In effetti l’unica urgenza è politica: è uscire dalla crisi di maggioranza per poi poter amministrare non solo l’ordinaria amministrazione ma in modo dignitoso, elegante, lungimirante e straordinario. Servono allora i numeri, una maggioranza che non sia fragile accozzaglia, un papocchio, un caos politico ingestibile.
Ecco perché un accordo con il Pd non sarebbe utile. Non sarebbe una soluzione anzitutto perché non darebbe a Nargi stabilità politica, ovvero la forza politica per governare come lei vuole.
Il Pd farebbe da stampella ad un’amministrazione claudicante.
I dem dovrebbero accettare di fare una opposizione morbida, accondiscendente, comprensiva, tollerante, compassionevole, di mezze misure, con l’obiettivo di aiutare Nargi nello scontro contro i festiani.
I dem in pratica dovrebbero tenere il gioco alla candidata che li ha sconfitti solo dieci mesi fa alle elezioni amministrative. Magari non entrando né in giunta né in maggioranza ma facendo capolino nelle sedute di consiglio comunale, scegliendo come votare, a favore, astenendosi o contro, a seconda dell’ordine del giorno e della tenuta della maggioranza.
Soprattutto, per i dem non sarebbe un affare, almeno sul piano politico. Sarebbe complicato spiegare la loro posizione anche all’elettore più distratto. Non sarebbe una scelta politica esemplare.
A ciò si aggiunge il particolare che i dem supporterebbero un sindaco che ha la fiducia di Forza Italia. Al “modello Napoli” del sindaco Gaetano Manfredi, una alleanza composta da Pd, 5s centristi e Sinistra, si contrapporrebbe il “modello Avellino” di Nargi; al Campo largo di Elly Schlein, il Campo sconfinato, aperto, variopinto di Avellino capoluogo. Il tutto alla vigilia delle elezioni regionali. Avellino sarebbe un modello, o meglio un caso. Perché il passo dal governo bipartisan al consociativismo è breve e deleterio per i partiti, a scapito degli elettori che non si ritroverebbero rappresentati nello scambio di consenso dei loro rappresentanti istituzionali. Sarebbe un accordo che non tiene in considerazione le istanze popolari, l’appartenenza partitica, l’ideologia, la tornata elettorale d’autunno.
Vale per il Pd, per i 5stelle e per Forza Italia – anche se Forza Italia è diventata un gruppo consiliare recentemente -. Come se non esistesse la gente di partito, il partito nell’istituzione, la base organizzata del partito. Tutti i partiti insieme per battere il festismo di cui Nargi stessa è il prodotto. Nulla di male, ma è così.
Per Nargi, l’unica soluzione, quella più logica, sarebbe allora di ricucire con Festa, realizzando con coerenza il programma della coalizione civica che hanno votato gli elettori, andare avanti in attesa di tempi migliori. Perché ormai è chiaro che lo strappo con l’ex sindaco è politicamente insanabile, che l’amministrazione anche in questo caso sarebbe a tempo determinato, che Festa vuole tornare ad indossare la fascia tricolore. Ma è anche vero che in politica le cose cambiano velocemente e le previsioni sono sempre un azzardo. Almeno oggi si tornerebbe ad amministrare in modo più o meno dignitoso. Grazie anche ad una opposizione severa ma giusta.