Dal sacrificio di Giovanni Palatucci alla necessità di costruire una memoria condivisa, che non dimentichi l’esperienza dolorosa delle foibe, a lungo rimossa. E’ il senso del confronto promosso dall’associazione “Insieme per Avellino e l’Irpinia” in collaborazione con l’Ic Leonarda Vinci di Abellino e l’IISS D’Aquino di Montella, nell’anniversario della morte di Palatucci del 10 Febbraio 1945, nella sala blu del Carcere Borbonico. Un confronto introdotto da Pasquale Luca Nacca di Insieme per Avellino che ribadisce il valore della memoria nella formazione delle nuove generazioni. E’ quindi il giornalista Angelo Picariello a ricordare la figura di Palatucci “E’ stato un precursore dei valori della Costituzione. Responsabile all’ufficio stranieri della Regia Questura di Fiume, è stata una figura complessa e reale, capace di mettere al centro del suo impegno la persona, prima dello Stato, inviso ai fascisti, ai titini, ai nazisti, capace di farsi beffa della burocrazia per portare in salvo gli ebrei e consentire loro di fuggire, attraverso un’attenta attività di intelligence. Aveva messo su una rete insieme ad altri suoi collaboratori, anche loro meridionali e a suo zio, vescovo di Campagna, dove riusciva a far arrivare molti profughi. Impossibilitato a opporsi apertamente alla politica fascista, fingeva di appoggiare il regime, per sette anni continuerà a tessere le sue fila per fare fuggire il maggiore numero di ebrei. Pur avendo ricevuto una formazione fascista, farà prevalere la coscienza sulla legge, imparerà a farsi prossimo dell’altro. Lo dimostra quel biglietto consegnato al brigadiere Capuozzo, in cui gli chiedeva mentre era sul vagone destinato ai campi di avvisare la mamma di un bambino che piangeva accanto a lui. L’ultimo a vederlo, al campo di Dachau, sarà un collega anche lui irpino, Feliciano Ricciardelli, poi riuscito a tornare che racconterà di quell’incontro”.
Picariello ribadisce con forza come “Era un uomo normalissimo, amava le belle donne, gli piaceva vestire elegante, la sua storia è la conferma di come si possa diventare santi per indignazione e non per vocazione, scegliendo di non voltarsi dall’altra parte”. E sul negazionismo legato alla figura di Palatucci “Purtroppo, tanti di coloro che hanno lavorato con lui e potrebbero confermare il suo impegno a sostegno degli ebrei sono scomparsi. E in tanti non accettano che un fascista possa aver agito in questo modo”. E’ il professore Antonio De Feo a porre l’accanei sulla scelta a cui ciascuno è chiamato “Il male è sempre una scelta, siamo chiamati a fare obiezione di coscienza, c’è bisogno oggi più che mai di un’indignazione composta, senza ricorrere a barricate, che si nutre di scelte quotidiane. Ogni giorno siamo chiamati anche noi a scegliere da che parte stare”. A portare i propri saluti Elsa Nigro dell’Archeoclub che pone l’accento sul difficile contesto in cui operò Palatucci, in una terra come quella di Fiume, lacerata, contesa da più parti “Fu capace di realizzare un piccolo miracolo, mettendo in salvo vite umane, anche in virtù del forte sentimento religioso che lo guidava”. E’ Antonio De Feo a ribadire la necessità di non dimenticare il sacrificio dei giusti che pur, di fronte all’orrore, hanno avuto il coraggio di non restare in silenzio. Preziose anche le testimonianze dei dirigenti scolastici dell’IIss Rinaldo D’Aquino di Montella e dell’Ic Leonardo da Vinci Emilia De Blasi e Vincenzo Bruno che si sono soffermati sul ruolo cruciale della scuola nella trasmissione della memoria. I nomi e le storie di questi giusti rivivono nelle parole e nei video realizzati dagli studenti dell’Ic Da Vinci. E’ quindi Antonio Galetta dell’Anpi a lanciare un appello forte perchè si faccia verità sulle foibe, senza dimenticare le responsabilità del nazifascismo e ricorda figure non cos’ lontane da quella di Palatucci, come quella di Antonio Ammaturo, ucciso per aver servito uno Stato che non era Stato.
Mentre Antonio Argenio dell’Unuci Avellino sottolinea l’importanza di non ricordare, A ricostruire la complessa vicenda che caratterizzò durante la seconda guerra mondiale il confine italo sloveno la professoressa Teresa Colamarco che ricorda come l’esodio giuliano e dalmata non fu certo determinato dalla paura degli infoibamenti ma fu una scelta politica. Pone l’accento sulla denazionalizzazione della componente slava portata avanti dagli italiani, dopo l’espansione ad est dei confini nazionali con l’attuazione di politiche antislave tradottesi anche in massacri contro la popolazione civile e contro chi aderiva alla resistenza e la fucilazione di oltre 5000 civili. Dopo l’8 settembre, prosegue Colamarco, tutto cambia, l’esercito è allo sbaraglio e comincia la lotta di liberazione contro i fascisti che si tradurrà in operazioni di giustizia popolare come gli infoibamenti con i prigionieri gettati nelle cavita carsiche “Anche se i primi ad usarle furono proprio i fascisti”. Spiega come “l’esperienza delle foibe è stata a lungo rimossa per costruire una memoria condivisa legata alla resistenza e al mito degli italiani brava gente. Di qui una narrazione parziale che ha raccontato gli italiani solo come vittime, soffermandosi sui crimini dei comunisti. Mentre oggi più che mai c’è bisogno di una memoria riconciliata basata sul riconoscimento reciproco di torti e violenze reciproche, come testimoniato da un incontra tra il presidente Mattarella e i presidenti di Slovenia e Croazia. E’, infine, Gianluca Amatucci a spiegare come si faccia ancora fatica in Italia a fare i conti con una parte del proprio passato e ricorda gli autori che pure hanno raccontato questa tragedia nei loro romanzi, da Eleonora Davide nei Fiori del carso a Carmine Leo nel Colore del sangue, consegnando preziose storie di infoibati. Preziosa anche l’omaggio che Alessia Ausiello ha voluto fare ad Anna Frank con un’opera a lei dedicata