Tra le tante notizie inedite pubblicate dalla stampa, non solo locale, nei giorni successivi ai funerali di Ciriaco De Mita una si è rivelata di particolare interesse, almeno per amore di appartenenza associativa di chi scrive. Si tratta delle sollecitazioni del giovane De Mita – dopo il conseguimento con ottimi voti della licenza liceale presso il “De Santis” di Sant’Angelo dei Lombardi – indirizzata all’avvocato Vittorio Veronese nel 1949, presidente nazionale dell’Azione Cattolica, per ottenere un posto di iscrizione gratuita presso l’Università Cattolica di Milano. L’intraprendenza del giovane De Mita, come sappiamo, fu meritatamente premiata con l’inizio di un luminoso percorso di studi universitari, nell’orizzonte culturale e politico milanese all’interno del quale immediatamente Ciriaco De Mita si distinse per il suo straordinario acume culturale e politico. Ma chi era Vittorino Veronese, Vicepresidente nazionale delle ACLI nei primi anni della loro vita? In particolare che contributo significativo offrì l’avvocato vicentino al decollo delle ACLI, durante i contradditori momenti dell’immediato dopoguerra, selezionando quadri dirigenti di altissimo livello. Come presidente dell’Istituto Cattolico Attività Sociali (ICAS) pilotò la nascente organizzazione aclista al di fuori degli angusti confini della dipendenza da altri. Difatti nel comunicato dell’Azione Cattolica Italiana del 20 ottobre 1944, da lui steso personalmente scrisse che «le ACLI non sono un’organizzazione a carattere sindacale. «Sono indipendenti dei partiti politici. E benché sorgono sotto gli auspici dell’azione cattolica sono autonome e rette da un ordinamento proprio». Infine si deve a Vittorino Veronese, per unanime ricordo dei protagonisti di quel particolare momento storico e sociale la scelta dell’acronimo ACLI (Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani) e del plurale «associazioni». Le sue doti di studioso e organizzatore sono state apprezzate dentro e fuori gli ambienti sindacali ed ecclessiali fino alla sua partecipazione come uditore laico aggregato, ai lavori del Concilio Vaticano II. Appare, quindi, di tutta evidenza il suo grande intuito nella percezione immediata dei talenti giovanili, come il giovane De Mita, conosciuto a Salerno ad un congresso dell’Azione Cattolica propria in quegli anni. Questa notizia inedita, a modesto parere di chi scrive, ha costituito anche una delle ragioni che hanno motivato l’apprezzamento di De Mita per le ACLI. Segno tangibile di questo apprezzamento resta la sua significativa partecipazione al primo giorno dei lavori per la celebrazione del 60° anniversario fondativo delle ACLI Irpine, nei giorni 1-4 settembre 2005, presso il Carcere Borbonico di Avellino. Apprezzatissimo fu il suo intervento sulla tematica “Integrazione tra Pubblica Amministrazione e Terzo Settore per la gestione dei servizi alle persone”. Ricordo il suo autorevole incoraggiamento per continuare, come ACLI, a svolgere il prezioso ruolo di scuola di formazione all’impegno sociale e politico all’interno del variegato mondo del laicato cattolico associato. Ricordo anche che la linea politica demitiana, che indubbiamente mutuava dal cattolicesimo democratico una forte impronta laica, riscosse consensi nell’associazionismo riformista, comprese le ACLI, guidate allora da Domenico Rosati e Giovanni Bianchi, nonché da Ruggiero Orfei, uno dei più ascoltati consiglieri di De Mita. Nel 2005 ero presidente provinciale delle ACLI e, nel prosieguo del mio impegnativo impegno, non poche volte avvertii l’esigenza di attingere nell’alveo, vasto e profondo, del suo pensiero che aveva scelto la politica come il più alto servizio alla conoscenza, ai sentimenti e ai bisogni della comunità. Certo il gigante irpino della politica, in modo del tutto originale, non era lontano dal pensiero popolare di Don Sturzo e Don Milani, solo per citarne alcuni.
di Gerardo Salvatore