I preludi di dibattimentali che vi vengono proposti dalla fase «ricostituente» del Pd ci fanno temere che, ancora una volta, l’auspicato cambiamento, culturale e politico, consisterà solo nella elezione del nuovo segretario. La maledizione di questa sindrome, tipica della storia del Pd, almeno da un ventennio, sembra aleggiare di nuovo nel clima precongressuale attuale. Perché questo timore? Perché resta fondamentale il convincimento che il futuro della democrazia – soprattutto oggi con l’avvento della destra al potere – si gioca con un occhio rivolto all’esperienza del passato, alla storia, al protagonismo dei grandi leader che l’hanno caratterizzata e con l’altro alle esperienze di oggi, agli errori commessi e alle domande sociali e politiche – espresse o inespresse – che provengono dal basso, dal tessuto sociale dolente di una comunità disorientata, delusa e arroccata nell’ultima scelta del non voto. Un dibattito precongressuale, rifondativo, che si rispetti non può non imboccare la via della rigenerazione democratica e del futuro: il resto è fumo che non serve a rischiarare l’orizzonte attuale di un partito senza entità e senza prospettive da coltivare, promuovere e offrire ad un elettorato in attesa. È urgente, quindi, che nell’attuale clima di Avvento – periodo liturgico appena iniziato nella Chiesa Cattolica – l’attesa non vada delusa, perché in tal caso, sarebbe davvero la fine. Attesa politica per una bussola programmatica e valoriale chiara e incarnata nel vissuto quotidiano di una comunità disorientata e arroccata, attesa culturale per un linguaggio semplice, ma significativo, lontano dal dilagante politichese, attesa di una paziente e permanente formazione sociale e politica dei nostri giovani, attesa, infine, per una agenda politica che metta la famiglia al primo posto delle scelte programmatiche. Avvento pluridirezionale, quindi, per credenti e non credenti, comunque per tutti quelli che ripudiano l’indifferenza, che avvertono ancora un afflato umano, sociale e politico nell’attuale palude dell’indolenza e dell’egoismo senza confini. Frattanto credo sia ineludibile, oggi più che mai, domandarsi se la democrazia abbia un futuro, soprattutto quando si parla di democrazia come della migliore forma politica. Ed è legittima questa domanda, a fronte dei moltissimi modi di intendere la democrazia, nell’articolazione dei suoi vari modelli: democrazia associativa, partecipativa, deliberativa e via dicendo. Vorrei, pertanto, evidenziare sommessamente tre nodi cruciali per il futuro della democrazia e indirettamente del Pd. Credo che tutti, e naturalmente anche i silenti cristiani, abbandonando la deleteria opzione solo diagnostica, si mobilitino per uno sforzo terapeutico per il futuro. I tre nodi sono: la questione del popolo, il demos, la questione del principio di maggioranza che ha fossilizzato il dibattito del Pd per decenni; la terza questione che è, a mio parere la più importante e precede le altre due sul piano logico, è la questione del politeismo dei valori. Lo sforzo congressuale del Pd dovrebbe perseguire l’obiettivo di proporre risposte creative. E insisto sulla dimensione creativa, perché se è vero che bisogna guardare all’esperienza del passato, alla storia, intendendo per storia anche ciò che riguarda il movimento sociale dei cattolici, è anche vero che le esperienze di oggi devono essere affrontate in modo radicalmente nuovo. Particolare attenzione va posta al terzo nodo: politeismo dei valori, perché riguarda le basi morali della democrazia. Qualche tempo fa si parlava di assenza di valori nella democrazia, oggi dobbiamo constatare che le nostre democrazie hanno fin troppi valori: la questione del politeismo dei valori è veramente un ritorno al paganesimo. Purtroppo questi valori sono in lotta tra loro, come nella tragedia greca. Attualmente viviamo una situazione per cui la scelta di un valore genera contrapposizione con un altro valore. Il cristianesimo aveva sconfitto gli dei pagani con una cultura dell’uomo, cioè con un mondo di valori armonici. Attualmente la vita etica degli individui non è più una vita all’insegna dell’unità, non è una vita all’insegna di istanze forti in contraddizione fra loro. Di conseguenza la vita sociale e politica riflette queste situazioni personali e diventa essa stessa frammentata. Quello che il Pd non deve dimenticare che, nella complessità del politeismo valoriale, la rilevanza pubblica del cristianesimo non può essere archiviata da un laicismo malinteso e deleterio.
di Gerardo Salvatore