E’ un itinerario in cui l’universo interiore e la natura si muovono in un’osmosi costante la nuova raccolta di Monia Gaita “Di cielo, di nuvole e vento”. Sarà presentata l’8 novembre, alle 17.30, presso la Biblioteca Berardino De Crescenzo di Montefredane. A confrontarsi con l’autrice il direttore del Corriere dell’Irpinia Gianni Festa, il critico letterario Paolo Saggese, il professore Antonio Polidoro.
Gaita conferma la potenza della propria ricerca linguistica che si fa strumento per raccontare il mistero dell’esistenza, attraverso l’uso ardito di metafore e ossimori e un’attenta scelta lessicale “Affondai nel vaiolo del fallimento/fino alle ginocchia/Il giorno pronunciò la sua sentenza di condanna/e il capo del plotone/puntò i fucili contro”. Una riflessione che si snoda come un poema in quattro tempi, specchio dell’evoluzione di un’anima: “All’apice del ramo”, “Le serpi dei lampi”, “L’inventario delle nuvole”, “Correnti inclinate”. Titoli che colpiscono per il richiamo ad una natura in tempesta, tra lampi e nuvole, espressione di un’inquietudine senza fine. “Sbuffano i caimani delle nuvole/Le serpi dei lampi saltate dalla base delle siepi/gli mordono la pancia. Assorte nella contemplazione/le strade attendono la pioggia/aprono le narici per aspirare la frescura”. La vita appare ridotta a macerie “Ho smontato l’anima in 100 pezzi/adesso non so più come rimetterli insieme”. E’ una fuga impossibile quella dal proprio destino “corsi alla porta, afferrai la maniglia/era bloccata”, né c’è spazio per pentimento e perdono “Senza misura/riempii il foglio degli errori”, a prevalere stanchezza e la rassegnazione “Siamo stanchi/di proclamare le nostre ragioni. Ognuno esibisce la sua sul proprio scudo”. Poichè neppure il bene può vincere “vede contaminarsi fiumi d’acqua/ e falde sotterranee/Si ritirano i pesci bianchi e guizzanti dai suoi mari/vengono condannati all’estinzione/i tentativi….Il progresso è densamente popolato di squilibri/La collettività ha uno sviluppo incompatibile con l’io”.
Di fronte a questa terra desolata, in cui l’unica legge sembra essere lo sgretolarsi di ogni montagna, costante è lo sguardo sul Sud con una dedica all’Irpinia “radice di poesia”: “Questo mio Sud cammina zoppicante – scrive Gaita – è un punto dimenticato sull’atlante”.
Eppure c’è ancora posto per la speranza, il sole può tornare a sorgere, malgrado le nuvole “Oggi voglio parlarti, provare ad evocare la rinascita come si fa col lievito/col fiore dopo il gelo dell’inverno/con il sole (….)Dall’occhio cola una promessa di salvezza/e il grande masso discosto dal sepolcro/lascia la morte vedova, orfana e divisa”. L’attesa potrebbe non essere vana “Stiamo aspettando l’ora/in cui la tregua del male vedrà la luce del sole/l’ora che segnali la battuta d’arresto/per la mediocrità, l’invidia, l’ignoranza/che ridisegni una gerarchia di senso/e appenda il vecchio colosso degli affanni a un uncino” Per comprendere che “Nulla si perde definitivamente/La corruzione della materia è solo un nomade pastore”. Ed è in questi versi la lezione che consegna l’autrice, ricordandoci come è possibile tornare a sentirsi vivi “Smettere di pensare la perdita e il guadagno/guarire finalmente dall’incredulità/assolutizzare i frutti, la terra,/il firmamento…Tornare al centro del mio essere/baciare la natura ancora non intimidita dall’inganno”