Dopo nove anni di indagine si chiude con una sentenza di assoluzione “perché il fatto non sussiste” la vicenda giudiziaria che vedeva imputato, tra gli altri, Giuseppe Vetrano, avvocato e docente avellinese, difeso dal penalista Benedetto Vittorio De Maio, coinvolto nel cosiddetto “Caso Scognamiglio”, il giudice (assolta in primo grado) che componeva il collegio del Tribunale chiamato a decidere sulla sospensione del governatore Vincenzo De Luca. I magistrati della Terza Sezione Penale della Corte di Appello di Roma, hanno riformato la sentenza di primo grado, emessa dall’Ottava Sezione del Tribunale di Roma, mandando assolti tutti gli imputati.
I fatti risalgono al 2015, tutti erano accusati insieme alla giudice Anna Scognamiglio, (assolta dall”accusa in primo grado di induzione indebita) condannando tutti gli altri imputati per traffico di influenze illecite ad una pena di un anno e sei mesi, con sospensione della pena e non menzione. L’ imputazione originaria era di concussione per induzione. E la Corte di Appello ha assolto tutti “perché il fatto non sussiste”
E il noto avvocato affida ai social il suo commento sul lungo epilogo giudiziario che oggi sancisce la dua assoluzione con formula piena.
“Nove anni fa, senza alcuna colpa, venni coinvolto in una grande bufera mediatica che ebbe come protagonisti il Presidente De Luca, una magistrata napoletana ed altre persone tra cui il sottoscritto che aveva coordinato la vittoriosa campagna elettorale di De Luca in Irpinia .Il teorema accusatorio si sgonfio’ dopo pochi mesi per la assoluta mancanza di prove a carico di De Luca. Nonostante ciò, il clamore mediatico assunto dall’inchiesta indusse – sottolinea Vetrano- gli inquirenti a chiedere il rinvio a giudizio con un capo di imputazione divenuto surreale in seguito all’uscita di scena di De Luca.
Il processo di 1° grado rese evidente la fragilità dell’imputazione ma, nonostante l’assoluzione della Giudice, non si concluse con l’ assoluzione di tutti gli altri imputati.Nel corso della requisitoria finale, infatti, la Procura della Repubblica di Roma, messa alle strette, modifico’ nuovamente l’ imputazione ed il Tribunale non se la senti’ di sconfessare definitivamente l’operato degli inquirenti.Dopo 7 anni, dunque, venni condannato per un reato diverso da quello per il quale ero stato rinviato a giudizio ed ancor più surreale del primo.
La mia odissea continuò in appello perché, nonostante la saggia ed intelligente conduzione dell’avvocato Benedetto De Maio che pubblicamente ringrazio, il processo venne infinitamente rinviato.Giunti finalmente alle battute finali, temevo che la Corte scegliesse la strada più sbrigativa per assolvermi dal momento che era da tempo maturata la prescrizione.
La Corte di Appello di Roma ha invece deciso di entrare nel merito dell’intera vicenda e mi ha assolto “perché il fatto non sussiste” e, dunque, con una formula (la più ampia possibile) che, ricostruendo con serenità i fatti accaduti nel 2015, ristabilisce la verità che era già chiara nel 2017 quando si concluse l’udienza preliminare davanti al GUP. L’evidenza dei fatti è stata così prepotente che anche il Procuratore Generale ha dovuto chiedere la mia assoluzione.
Giustizia è fatta, allora? Certo! Ma io ho toccato con mano il paradosso della giustizia ingiusta!Nove anni per avere giustizia sono un tempo enorme, un tempo che lentamente logora dentro soprattutto le persone innocenti e per bene perché condiziona la loro vita, i loro affetti, il loro lavoro e le loro idee. Una vicenda giudiziaria così lunga ti cambia la vita! Ciascuno reagisce secondo la propria indole ed il proprio carattere. Nel mio caso, nonostante sia stato sempre circondato da affetto e stima, la reazione è stata quella di un progressivo rifugio nel privato fino al punto di coltivare il desiderio (pericoloso) di diventare invisibile.
E cosi, poco a poco, anno dopo anno, questa brutta storia, fatta di equivoci, assurde coincidenze ed errate o strumentali interpretazioni di intercettazioni telefoniche, ha profondamente segnato la mia vita privata e la mia carriera politica.Questa assoluzione perciò-conclude Vetrano – segna la fine di un dolore profondo, nascosto per nove anni e non raccontabile, ma non cancella le cicatrici che porto e le sofferenze inflitte alla mia famiglia.”