di Mino Mastromarino
Il prossimo dieci febbraio scade il tempo di iscrizione alla scuola superiore. Per me, i ragazzi si dovrebbero iscrivere in massa al liceo classico ( tradizionale, per carità !). Per la semplice ragione che è l’unico percorso scolastico che prevede la materia del greco antico. Non voglio provocare, ma parto da una considerazione empirica: se provassimo per un istante a evitare l’uso di tutte le parole direttamente o indirettamente mutuate dai Greci, precipiteremmo nell’afasia. Non potremmo discutere di politica per il venir meno di vocaboli come democrazia, oligarchia, tirannìa, crisi. Non oso immaginare quello che succederebbe alla religione cristiana. Il Vangelo, cioè il Nuovo Testamento, è stato scritto in greco e significa letteralmente < Buona Novella>. La medicina poi sarebbe costretta a traslocare in una lingua ancora da inventare, giacchè impossibilitata a prescrivere analisi e terapie e ad avvalersi di esami microscopici. Gli scienziati balbetterebbero monosillabi algebrici, non disponendo del lemmario per indicare gli universi dell’infinitamente grande e piccolo. Comunque, sentiremmo la mancanza di parole intense, originali ed evocative come quelle che finiscono con –gma: enigma, stigma, dogma, magma, sintagma, paradigma.
Per la verità, non siamo neppure consapevoli – specialmente noi europei – del debito metalinguistico contratto nei confronti di questa lingua, definita giustamente e sia pure per approssimazione “geniale”. Talvolta, ci siamo discostati arbitrariamente dalla gerarchia simbolica costruita dai Greci in relazione agli organi del corpo umano. Per essi, il fegato era la sede della forza, della caparbietà e delle passioni, dell’amore sensuale, dell’ira, del coraggio e della forza fisica; mentre il cuore ( kardìa), per il suo movimento ripetitivo e meccanico, meritava una posizione deteriore nella scala valoriale.
Non si tratta dunque di una lingua banalmente utile, bensì indispensabile per il nostro ingresso nel mondo. Attuale e futuro. Che poi serva ad affrontare pure la cosiddetta complessità – anzi appaia il solo dispositivo intellettivo a poterla governare, rappresenta uno dei molteplici effetti collaterali del suo insegnamento. Ovvero del contatto non superficiale con essa.
Davanti all’ingresso del Tribunale di Vallo della Lucania sono state collocate le lettere giganti della parola aletheia, che siamo soliti tradurre con ‘verità’. Non interessa l’autore della curiosa installazione, ma il perché. Infatti, al varco di un tribunale ci si aspetterebbe l’epigrafe di ‘giustizia’. I Greci concepivano l’idea di verità in forma negativa. Aletheia vuol dire infatti < ciò che non è, non rimane nascosto >. Insomma, la Verità come disvelamento a cui è preordinata la Giustizia. Altro, non metafisico esempio di parola conciliativa degli opposti è pharmakon, da cui pari pari farmaco in italiano. E’ utilizzato nel duplice senso di rimedio medicale e di sostanza tossica. Proprio in questi giorni, l’insigne farmacologo Silvio Garattini ha pubblicato un libro dal titolo ‘Farmaci. Luci e ombre’.
Ci sono poi alcuni termini in uso contemporaneo che rivelano la limpidità, la precisione e la chiarezza del greco. Si prenda la coppia di ‘anestetico’ e ‘analgesico’. Il primo è diretto a sospendere la sensibilità corporea, il secondo a combattere il dolore. La pratica medica non ha fatto altro che recepire la distinzione concettuale dall’antico vocabolario greco, senza necessità di adeguamento o rielaborazione. Il carattere più rilevante di questa meravigliosa lingua risiede invero in una ineguagliabile duttilità semantica, grazie alla quale – dopo circa tremila anni – possiamo ancora adottare le sue espressioni negli scritti e nel parlato contemporanei.
Non si può concludere senza sottolineare la permanente vitalità del concetto di hybris. Esso viene tradotto con arroganza, ma esprimeva un atteggiamento di rivolta contro l’ordine stabilito dagli dei o, più semplicemente, di orgogliosa coscienza di sé. Il caso Deepseek – la piattaforma cinese di intelligenza artificiale gratuita e parsimoniosa che ha superato il modello ChatGpt degli Stati Uniti – è la prima, sonora punizione della ‘tracotanza’ delle Big Tech statunitensi ostentata in occasione del pomposo insediamento di Trump alla Casa Bianca.
Giorgio Agamben ha, di recente, denunziato: «Gli uomini hanno nel linguaggio la loro dimora vitale e se pensano e agiscono male, è perché è innanzitutto viziato il rapporto con la loro lingua. Noi viviamo da tempo in una lingua impoverita e devastata, […] ridotta a un piccolo numero di frasi fatte; il vocabolario non è mai stato così stretto e consunto, il frasario dei media impone ovunque la sua miserabile norma: come pretendere in simili condizioni che qualcuno riesca a formulare un pensiero corretto e ad agire in conseguenza con probità e avvedutezza? Nemmeno stupisce che chi maneggia una simile lingua abbia perso ogni consapevolezza del rapporto tra lingua e verità …». Lo studio del greco è l’antidoto all’indigenza lessicale e all’inquinamento cognitivo che ci affliggono.