“Il gusto per la comicità popolare diventa espressione della sua libertà dissacrante, della sua capacità di resilienza, una forma di resistenza non passiva attraverso l’esercizio del gusto e dell’intelligenza per dimostrare che è possibile opporsi allo spirito corrente con raffinatezza ed eleganza”. Sceglie la chiave di grottesco per analizzare l’arte di Alberto Savinio Nicola Fano, docente dell’Accademia delle Belle Arti, autore del volume “Alberto Savinio. Il comico ha vita breve”., presentato nel corso di un confronto promosso dalla rivista Sinestesie. “Nelle recensioni degli spettacoli di rivista e varietà scritte da Savinio, autore, regista e pittore, per la rivista Omnibus tra il 1937 e il 1939 – spiega Fano – emerge con forza il gusto del grottesco, un’ironia cattiva che ritroviamo anche nella sua pittura, come testimoniano opere come la poltromamma o il poltrobabbo. Sono spettacoli che si ricollegano alla comicità popolare, quella che meglio racconta la realtà sociale, una comicità non sempre compresa dagli intellettuali. Savinio la comprende bene, sa che il comico ha vita breve perchè ha un senso solo nella sua contemporaneità e si ricollega all’idea picassiana della funzione catartica del genere comico. Un senso del comico che che trae alimento dall’inconscio come una parte della sua pittura, nel segno di quel surrealismo di cui è stato uno dei fondatori. Al tempo stesso, il comico diventa strumento per reagire all’accademismo del tempo imposto dal fascismo. Ecco perchè ritroviamo in queste recensioni, il Savinio più autentico”.
A chiarire l’idea che fa da filo conduttore al volume Paolo Puppa, che spiega il gusto del comico si contrapponga alla rinascita della tragedia di quegli anni “L’essenza del comico è nella sua irripetibilità, poichè il comico è coevo al proprio tempo ed è difficile tradurre battute e riferimenti in un altro contesto. Savinio si compiace di cogliere i momenti di bassezza degli attori, i suoi idoli sono i comici circensi, così come ha una grande simpatia per il corpo travestito, accosta i De Filippo alla letteratura russa mentre ribadisce più volte la propria allergia per quello che definisce il dusismo, ovvero il dolorismo di Eleonora Duse. Un’allergia che si affianca a quella per il teatro borghese, per lui il teatro deve essere fuga dal mondo, non certo rappresentazione del reale. La sua celebrazione della risata si carica di un valore forte negli anni del fascismo che guardava con sospetto al riso, in chiara contrapposizione con la solennità che caratterizzava il regime. Un’opposizione al fascismo che si manifesta, dunque, in modo criptico, tanto da poter parlare di bipolarità di Savinio nei confronti del potere”. Unico lo stile dei suoi scritti “E’ un critico eccentrico che non ha uno schema fisso, divaga, usa animalismi e metafore stravaganti con una forte accezione futurista, è feroce nei confronti del pubblico che considera come un attore ma se ne sta al sicuro in platea “uno sfaticato che sta in poltrona a digerire”.
Alberto Granese pone l’accento sulla valenza catartica del riso, che ha per Savinio una funzione liberatoria sebbene fugace, spingendosi verso l’elemento onirico “Edoardo diventa la maschera mediterranea in un rapporto tra comico e tragico, con un forte valore antiaccademico. Allo stesso modo il teatro comico popolare, svilito dal fascismo, diventa per Savinio uno strumento di avanguardia proiettato verso il futuro. Evidente, poi, il legame con il saggio sull’umorismo di Pirandello, in cui l’umorismo nasconde il tragico e la teoria del riso di Bergson, in cui il riso è surreale ma sacrale e chiama in causa l’inconscio di Freud”. Alfredo Sgroi pone l’accento sulla parola eversiva di Savinio “Savinio, eretico impenitente, celebra il teatro di varietà in un contesto certamente difficile, una celebrazione che sembra andare contro il cesarismo fascista, legato a patria, Dio e famiglia, contro qualsiasi esaltazione dell’ordine. Nel momento in cui valorizza il comico, che ha vita breve, compie un’operazione eversiva, sia pure nascosta. Una scelta che si contrappone agli articoli che pure ammiccano al fascismo sulle pagine del Mediterraneo. Gli stessi fascisti non si accorgeranno della vena eversiva di Savinio fino alla pubblicazione del Sorbetto di Leopardi. Allo stesso modo, Savinio conserva buoni rapporti con scrittori ortodossi ma mantiene anche rapporti con autori eretici come Curzio Malaparte”. E sul linguaggio “Gli articoli non hanno nulla di convenzionale, sono dei microcosmi con schegge di diversa provenienza, come gli inserti autobiografici e le divagazioni nella sfera del mito”.
Alessandro Tinterri sottolinea come “gli scritti teatrali evidenziano un Savinio più vero. Per il suo percorso biografico era un personaggio estraneo all’Italia di quegli anni. La sua idea di teatro era quella di un universo spurio che non poteva piacere a Mussolini con un linguaggio certamente dissacrante contraddistinto da freddure e battute. E’ un Savinio che si distrae ma si fa anche catturare dagli attori che ama di più, gli attori dialettali, dal primo Eduardo a Gilberto Govi, portatori di una lingua con coloriture straordinarie. E’ un artista consapevole della libertà della sua intelligenza”. Dario Tommasello si sofferma sulla unicità delle recensioni di Savinio in cui la macchina da presa si sposta continuamente dal palco alla platea, in cui a notazioni pertinenti si affiancano un’aneddotica personale ed intuizioni improvvise, capaci di incrociare fenomeni a lunga gittata e di stabilire una sintesi tra istanze differenti, dalla grande tradizione attoriale al teatro di varietà.
 
		



