Fioravanti Ascolese
Anticamente le civiltà non conoscevano lo zero perché erano strettamente legate alla concretezza delle cose; così mentre era logico contare le persone, le pecore, gli oggetti in genere, non aveva senso contare quello che.. non c’era. Con il progresso si prospettò l’idea, il concetto del nulla, l’assenza di qualcosa, qualunque cosa, e di una sua rappresentazione simbolica; era lo zero, non ancora però inteso come numero.
Negli ultimi anni della civiltà babilonese (7° – 6 ° secolo a.C.) si avvertì l’esigenza d’introdurre nel sistema di numerazione che, pur essendo posizionale non aveva lo zero, un nuovo segno simbolico che funzionasse da segnaposto; il sistema di numerazione era a base sessagesimale, cioè cominciava con un simbolo che rappresentava l’unità e terminava con un altro simbolo che rappresentava 60; l’innovazione simbolica stava appunto solo a indicare che il conteggio proseguiva oltre 60, ma non aveva assolutamente il valore numerico del nostro zero.
Dall’altra parte del mondo, i Maya avevano anch’essi un sistema di numerazione posizionale, a base venti e possedevano lo zero il quale aveva non solo il valore di segnaposto ma di vero e proprio numero; però fino all’arrivo degli Spagnoli, quindi a partire dal 1517, i Maya restarono sconosciuti al nostro continente che ormai, a quella data, già da tanto tempo, conosceva e utilizzava il sistema decimale.
Anche nella Grecia dell’antichità lo zero significò nulla sia in filosofia sia in matematica ma non assunse valore numerico.
Bisognerà attendere il 5° e 6° secolo d.C. – età in cui la Civiltà Indiana ebbe la sua massima fioritura nelle arti, nelle scienze soprattutto astronomiche, e in matematica, quando lo zero finalmente acquisì il suo pieno significato numerico, consentendo d’indicare numeri grandi quanto si vuole e inclusivi, cioè senza ripetizioni come invece succede con i sistemi numerici non posizionali, del tipo dei numeri romani. Nella cultura indiana era già presente l’idea che moltiplicazione e divisione sono operazioni inverse; i matematici indiani si cimentarono anche nella divisione in cui zero compare come divisore ma giunsero a conclusioni diverse da quelle attuali; oggi, infatti, essa viene considerata come impossibile quando il dividendo è ≠ da zero perché nessun numero moltiplicato per zero può dare un risultato diverso da zero; e se ci si trova dinanzi a 0÷0 la divisione viene definita indeterminata perché ha un numero infinito di soluzioni, in quanto qualunque numero moltiplicato per zero dà zero (legge di annullamento del prodotto).
Successivamente, con una progressione crescente, si avviò l’espansione della civiltà islamica che, in Europa, portò alla occupazione della Spagna e della Sicilia dando il via a guerre di religione che durarono secoli e, in Asia, portarono l’Islam territorialmente oltre i confini dell’impero che una volta era stato di Alessandro Magno. I contatti tra mondo islamico e indiano non potevano avvenire senza contaminazioni culturali; in matematica comparve la parola sifr da cui deriva la parola italiana cifra e quella latina zephirum, poi zevero e quindi zero; e fu nel 780 d. C. che il matematico persiano Al-Khwarizmi divenne Responsabile della casa della Sapienza di Bagdad; egli tradusse in arabo scritti matematici indiani e persiani; a lui dobbiamo il termine algebra, cioè sistemi di relazioni tra quantità che, utilizzando lettere e numeri in equazioni, consentono di generalizzare operazioni; a lui risale anche il termine algoritmo, vale a dire un elenco d’istruzioni da effettuare in sequenza per raggiungere un determinato obiettivo finale; questo metodo oggi è particolarmente utile nella programmazione di eventi e in informatica.
Intorno al 1170 nacque a Pisa Leonardo, figlio di Guglielmo dei Bonacci; era il periodo florido e prestigioso delle Repubbliche Marinare; Guglielmo, facoltoso mercante e funzionario della Repubblica di Pisa, responsabile delle dogane a Bugia in Algeria, avviò in quella sede agli studi di aritmetica e alle pratiche commerciali il figlio Leonardo, il cui nome passerà poi alla storia come Fibonacci; quest’ultimo, di spiccata intelligenza e portato allo studio, apprese e approfondì concetti matematici ancora ignoti nel mondo occidentale; intraprese quindi una lunga serie di viaggi, sia per studio sia per scopi commerciali; dall’Algeria e Nordafrica si portò in Siria, in Grecia arrivando fino a Costantinopoli, sempre studiando e riformulando criticamente gli studi soprattutto di matematici indiani, persiani e arabi.
Infine Fibonacci rientrò a Pisa dove venne accolto con grandi onori per la fama internazionale che aveva preceduto il suo rientro e, inoltre, gli venne accordato un appannaggio per consentirgli di dedicarsi esclusivamente agli studi senza avere problemi finanziari. Nel 1202 Fibonacci pubblicò il liber Abbaci un trattato poderoso nel quale introduce i numeri indo-arabi del sistema decimale, quindi lo zero con cui si può costruire un insieme infinito di numeri naturali oltre che le operazioni fondamentali, i numeri rotti (frazioni), il calcolo di radici, etc; particolarmente interessante è la risoluzione del problema della riproduzione dei conigli con cui si assiste ad una serie di numeri, che prenderà il nome di successione di Fibonacci: 0,1,1,2,3,5,8,13,.. in cui ogni numero si ottiene sommando i due antecedenti.
Questa successione rappresenta la scoperta di straordinari segreti della natura, infatti la fillotassi, cioè la disposizione di foglie e fiori rispetta la sequenza di Fibonacci per poter massimizzare la luce solare; così, ad es. i gigli hanno 3 petali, le rose canine 5, alcune margherite 13, altre margherite 21 oppure 34 o anche 55 o, ancora, 89; se si osserva la disposizione dei semi dei girasoli si scorge una doppia spirale, una in senso orario e l’altra antiorario; la parola spirale è importante per la scoperta di questo mondo misterioso: se, considerando i primi numeri della successione, si costruiscono quadrati i cui lati corrispondono ai citati numeri e se, all’interno di ogni quadrato, si traccia un arco di circonferenza si ottiene proprio una spirale che viene chiamata aurea; e se, con telescopi si osservano le galassie se ne possono individuare alcune aventi proprio la forma di spirale. È possibile formalizzare il rapporto di proporzionalità nelle figure geometriche: “Si chiama numero aureo il rapporto tra due grandezze omogenee di cui la maggiore è medio proporzionale tra la minore e la loro somma” (**); il rapporto aureo è un numero irrazionale il cui valore approssimato è 1,618 e viene rappresentato con la lettera greca phi.
Filosofi, matematici, architetti, artisti hanno considerato il rapporto aureo come rappresentazione del bello, dell’armonia, della perfezione; questo concetto ha ispirato l’Uomo Vitruviano di Leonardo da Vinci, il Partenone, cattedrali, monumenti etc. Riflettere sul rapporto aureo porta a pensare ad un ordine superiore; qualcuno ne vede l’impronta del Divino; non è un caso che, un paio di secoli dopo Fibonacci, un prelato e matematico fra Luca Pacioli ebbe a scrivere al riguardo la sua “Summa de Arithmetica, Geometria, Proportioni et Proportionalità” (1494) e “De Divina Proportione” (1509).
Tornando al tempo di Fibonacci è opportuno accennare velocemente alla situazione politica dell’Italia che vedeva al Centronord i Comuni e al Sud Federico II, imperatore del Sacro Romano Impero; questi fu un regnante illuminato: promulgò la Costituzione di Melfi con cui introdusse oltre ad obblighi una serie di diritti, fondò a Napoli l’Università che prese il suo nome, allacciò contatti culturali con l’Islam e volle incontrare Fibonacci ponendogli anche dei quesiti. Quest’ultimo nel 1225-26 pubblicò il Liber Quadratorum in cui, anche rispondendo ai quesiti postigli descrisse i cosiddetti numeri quadrati, cioè potenze di numeri che elevati ad esponente 2 possono essere rappresentati geometricamente, appunto da quadrati, cioè 1-4-9-16-25-36… .
Il mio scritto sulla riscossa dello zero prosegue con l’introduzione dei Numeri Relativi (Z) di cui non c’è traccia nella matematica indo-araba e neanche in quella di Fibonacci; essi comprendono, oltre i numeri positivi che sono l’equivalente dei naturali, i numeri negativi, cioè simmetrici dei numeri naturali, i quali sono preceduti dal segno – per essere distinti dai positivi; esempi possono essere i valori di un termometro e quelli del piano di un appartamento; da notare che in questi esempi fatti lo zero non è più il simbolo di un insieme vuoto, ma rappresenta un valore numerico allo stesso, identico modo di ogni altro numero.
Concludo questa mia narrazione con il riferimento al sistema di numerazione binario; questo è il fondamento dell’informatica e della tecnologia digitale, cioè del linguaggio dei computer ed è costruito con due sole cifre: lo zero e l’unità che prendono il nome di bit (binary digit); queste cifre corrispondono, nei circuiti elettrici a cui sono collegate, ad acceso (1) l’informazione passa e spento (0) l’informazione non passa (perché non c’è); è un sistema posizionale, come quello decimale, che utilizza lo spostamento a sinistra ogni volta che risulta esaurita la disponibilità di cifre nella colonna impegnata; ogni spostamento assume il valore della potenza di due corrispondente al peso dello spostamento; quindi, ad es. mentre Il numero 0 si scrive senza problemi e lo stesso il numero 1 la prima difficoltà si pone in relazione al numero 2 : essendo esaurite le cifre disponibili nella colonna di partenza, si scrive 10 (che si legge uno zero) dove 0 conta le unità e 1 conta le coppie. Utilizzando questo criterio i numeri del sistema decimale 0 – 1 – 2 – 3 – ecc. si rappresentano in codice binario rispettivamente 0 – 1 – 10 (uno zero) – 11 (uno uno) – ecc. .
Infine anche i supercomputer i quali, utilizzando circuiti in parallelo hanno accesso a una quantità enorme d’informazioni, hanno alla loro base sempre e soltanto il sistema di numerazione binario, cioè le cifre zero e uno.
Ecco come, con il trascorrere dei secoli e dei millenni, lo zero ha acquisito una importanza di straordinario rilievo.
(*) Cfr Le Garzantine – Matematica – pag.1329 e seg.
(**) Cfr Op. Cit. pag.841