di Stefano Carluccio
In Irpinia, soprattutto nei piccoli centri dell’entroterra, si sta consolidando una crisi silenziosa e spesso ignorata: quella delle dipendenze da alcol e gioco d’azzardo. Negli ultimi anni, il fenomeno ha registrato un incremento costante, favorito da solitudine, disoccupazione e mancanza di servizi sociali adeguati. I dati ufficiali parlano chiaro: cresce il consumo di alcol in tutte le fasce d’età e si moltiplicano i casi di ludopatia, con una diffusione capillare di slot machine e sale scommesse anche nei comuni più remoti.
I numeri dell’ASL e dei servizi per le dipendenze indicano un aumento del 40% nelle richieste di supporto legate all’alcolismo negli ultimi cinque anni, mentre i casi collegati al gioco patologico risultano raddoppiati nello stesso periodo. In particolare, il gioco d’azzardo ha assunto un carattere epidemico nei paesi con meno di 5.000 abitanti, dove spesso i bar rappresentano l’unico punto di aggregazione sociale e ospitano le slot machine come fonte stabile di reddito.
Questo scenario non riguarda solo una fascia ristretta della popolazione. Le dipendenze coinvolgono giovani, adulti e anziani, in particolare uomini tra i 40 e i 60 anni, ma con segnali preoccupanti anche tra i più giovani, attratti dalle scommesse online. Nei piccoli centri irpini, la presenza di strumenti di gioco è diventata una costante: in molti comuni vi sono più punti scommesse che servizi essenziali come farmacie, ambulatori o biblioteche.
L’alcolismo, invece, si diffonde in modo meno visibile ma altrettanto pervasivo. L’accesso a bevande alcoliche è immediato, la vigilanza è minima, e i controlli sono rari. Il consumo comincia spesso in modo occasionale, ma in assenza di alternative sociali e culturali, si trasforma in abitudine quotidiana, con effetti devastanti sulla salute fisica e mentale. A questo si aggiunge un problema ancora più profondo: l’assenza quasi totale di centri di recupero nei territori più periferici. Chi ha bisogno di supporto deve rivolgersi ad Avellino o a strutture fuori provincia, un ostacolo insormontabile per chi vive in condizioni economiche precarie.
L’Irpinia è colpita da un fenomeno doppio: da un lato lo spopolamento progressivo che svuota i borghi, dall’altro la permanenza di chi resta senza più riferimenti, servizi, stimoli. In questo vuoto trovano spazio le dipendenze, che diventano risposta distorta a una quotidianità priva di prospettive. L’assenza di attività culturali, sportive o ricreative aggrava ulteriormente la situazione, mentre le amministrazioni locali si limitano spesso a ordinanze simboliche, raramente rispettate o efficacemente controllate.
Sul fronte normativo, il quadro è debole. Pochi comuni hanno adottato regolamenti per limitare gli orari delle slot machine, e dove esistono sono facilmente aggirati. Non esistono piani provinciali coordinati per la prevenzione o la sensibilizzazione. Anche le scuole, pur essendo potenzialmente un luogo chiave per l’educazione alla consapevolezza, raramente affrontano in modo strutturato il tema delle dipendenze.
A rendere tutto più difficile è il contesto sociale dei piccoli paesi, dove la vergogna e il giudizio altrui impediscono a molti di chiedere aiuto. L’alcolismo, in particolare, è ancora vissuto come una debolezza personale da nascondere, piuttosto che come una malattia. Lo stesso vale per la ludopatia, spesso scambiata per semplice vizio o cattiva gestione del denaro.
Le conseguenze economiche e sociali sono gravi: famiglie indebitate, minori esposti a modelli disfunzionali, relazioni familiari compromesse. L’assenza di supporti psicologici e di servizi di prossimità lascia le persone sole ad affrontare situazioni sempre più complesse. Anche i medici di base e le farmacie, che potrebbero essere sentinelle del disagio, non sono messi nelle condizioni di intervenire con strumenti adeguati.
In questo contesto, la diffusione delle tecnologie digitali rappresenta un’ulteriore minaccia. Le scommesse online, i casinò virtuali e le app di gioco sono facilmente accessibili, anche da minori, e difficilmente controllabili dalle famiglie. La pandemia ha accelerato questo processo, aumentando il tempo trascorso davanti agli schermi e favorendo nuove forme di dipendenza silenziosa e invisibile.
L’Irpinia che scommette e beve non è un caso isolato, ma il riflesso di una crisi più ampia, che colpisce le aree interne di tutto il Mezzogiorno. Tuttavia, ciò che rende il fenomeno ancora più grave è l’inerzia con cui viene affrontato. Servirebbe una strategia integrata, capace di coinvolgere Comuni, scuole, Asl, parrocchie, associazioni e famiglie. Servirebbero fondi mirati per la prevenzione, il recupero, l’assistenza. Servirebbe, soprattutto, riconoscere che il disagio non si misura solo in numeri, ma in vite spezzate, in solitudini accumulate, in generazioni che non vedono alternative.
Continuare a ignorare o minimizzare queste dipendenze significa condannare interi territori all’autodistruzione lenta. L’Irpinia, per rinascere davvero, dovrà prima guardarsi dentro e affrontare senza ipocrisie anche le sue ferite più profonde.