È passato sotto traccia, molto sotto traccia, il lancio delle agenzie di stampa nazionali (almeno io l’ho notato su Adnkronos) secondo cui un tizio, senza laurea, avrebbe “vinto” 26 cause fingendosi avvocato.
Il titolone, poi, dava subito atto dell’epilogo della vicenda, terminata con l’arresto: quisquilie. La vera notizia era contenute nelle prime battute, rimbalzando tra la fantasticheria di averne vinte ben 26 e l’incredulità di averlo fatto senza la laurea.
È passata in cavalleria, dicevo. Perché il titolo nasconde una realtà ben più profonda della mera bazzecola, due o tre concetti molto più allarmanti della semplice pinzillacchera.
La vittoria di 26 cause senza laurea può certamente portare chiunque ad immaginare l’inutilità della laurea per stare in giudizio e difendersi (o attaccare), ma può anche segnalare, altrettanto logicamente, che non se ne ravvede una stretta necessità nemmeno per chi deve giudicare o per chi deve coadiuvarlo, se è vero che saranno stati ben 26 i magistrati che hanno “consegnato la vittoria al non laureato”.
Il dado è tratto: una società come la nostra può anche fare a meno dello studio, del sacrifico e delle capacità, giacché, alla fine della fiera, anzi della causa, si vince senza laurea, non una volta ma addirittura 26.
Questa è la vera trappola, l’attuale retropensiero da cui dover rifuggire. E alla svelta.
Perché vedete: se è fuor di dubbio che la laurea non attribuisce in automatico doti, capacità e cultura (e lo è), risulta altrettanto vero che i “percorsi magistrali” hanno la forza di seminare buon senso e ragionevolezza – figure, oggi, tanto necessarie quanto dimenticate – spingendo verso l’accrescimento e l’espansione del grado di strumentalità della persona rispetto all’elaborazione dei concetti, all’autonomia di giudizio ed alla capacità critica. Tutte spigolature fondamentali per bramare una società moderna, fondata sul diritto e sull’equità.
Poi non accadrà, è possibile. Ma una collettività che vi rinuncia, sul presupposto, falso, che tutti possono tutto, allo stesso modo, perché ciascuno ha la propria ragione, è una comunità destinata all’oblio dei “ragionisti”, ossia dell’insieme di quelli che ce l’hanno a prescindere, la ragione, e di cui il nostro Paese è infarcito: chi tampona, generalmente, ritiene che la colpa sia di chi ha frenato. E via di causa.
Un virus strisciante, generato anche dall’uso distorto del web, fonte interminabile ed impareggiabile di informazioni, che, però, se messo al servizio dell’errore, perché utilizzato malamente, porta a ritenere, proprio come scritto in settimana, che i processi, anziché riconoscere diritti ai cittadini in applicazione della legge, attribuiscano vittorie e sconfitte, al pari di una qualunque partita di calcio.
Mi vien da pensare che i tempi sono maturi per iniziare anche a scommetterci, allora. E viste le cronache di questi giorni, mi fermo qua…
Ah, dimenticavo. Visto che il falso avvocato è stato arrestato, chi mai potrà assisterlo, ora? Ma che domande: si difenderà da solo, così da vincerne un’altra, la 27esima.
Gerardo Di Martino