“Quest’opera guarda al futuro, dovrà ancora educare altri uomini e donne ma soprattutto ci indica un cammino di pace. Un cammino che non può non partire dal disarmo mentre l’Europa continua ad armarsi”. A sottolinearlo il vescovo Arturo Aiello nel celebrare i 60 anni del Murale della pace, nella chiesa di San Francesco d’Assisi nel corso di un convegno sull’attualità dell’opera, introdotto dal parroco don Michele Ciccarelli e dalle note di Blowing in the wind, eseguita dagli studenti dell’Ic della Ferrovia e moderato da Generoso Picone. “Non è solo la guerra che si chiude con una pace fragilissima – prosegue Aiello – ma è una smilitarizzazione che deve riguardare anche il quotidiano, dalle coscienze alla Chiesa, la società nella sua totalità, a partire dal linguaggio, basti pensare alla violenza che caratterizza i social”. Pone l’accento sul valore di “un’opera che è una pagina di storia, racconta il ‘900 con le sue contraddizioni, ancora pulsa e ci interroga. Celebriamo non soltanto i 60 anni dell’opera ma anche i 60 anni degli effetti che l’opera ha prodotto”. Spiega come “Ogni intuizione artistica sopravanza ogni possibilità figurativa, gli artisti sono condannati all’insoddisfazione. Ettore stesso non aveva percezione di essere profeta. Nel 1965 all’ONU Paolo VI gridò contro ogni guerra. Un grido che è rimasto inascoltato perché la guerra ha continuato a seminare morte”. Una speranza, quella della pace, che si affianca a quella che “il Murale possa davvero rilanciare la Ferrovia, come in passato la Ferrovia ha lanciato il Murale”
Il commissario prefettizio Giuliana Perrotta ribadisce l’attenzione rivolta dall’amministrazione comunale al quartiere della Ferrovia “Ci tenevo a rendere omaggio a questa bellissima opera, amo molto questa forma d’arte che affonda le sue radici nella preistoria”. E annuncia un’iniziativa legata all’arte pubblica in città. “Ma sono qui anche perchè ci tenevo a visitare questo quartiere, di cui mi hanno parlato i rappresentanti delle associazioni con cui mi sono confrontata”. Per ribadire come “la speranza è che quest’incontro possa essere il punto di partenza per un rinnovato impegno civile da parte di tutti”
“Ci sono anche i nostri volti nel murale – ribadisce la giornalista Carmen Lasorella -, sono volti di uomini e donne di ieri che conservano una forte attualità, perchè il Murale della pace va al di là della storia. Ecco perchè è importante portare quest’opera al di fuori dei confini provinciali”. Ricorda come per costruire ci vuole senso di responsabilità “Oggi più che mai è necessaria la riconciliazione, è fondamentale abbattere muri che abbiamo nella testa, mostrare e raccontare la bellezza e la pace”
Pietro Folena, una vita dedicata alla politica, oggi presidente dell’associazione Metamorfosi pone l’accento sul valore dell’arte pubblica “La forza di quest’opera è nella sua semplicità, nel suo essere qui, in questa chiesa. Vi ritroviamo il desiderio dei giovani che maturava in quegli anni di liberarsi dalla guerra, le grandi marce attraverso cui il popolo fa sentire la sua voce. Quest’opera ci ricorda la forza dell’arte pubblica, libera dalle logiche del mercato. De Conciliis e Falciano sono stati anticipatori di questa nuova concezione dell’arte che oggi torna di grande attualità con l’arte urbana e la street art, cariche di significato civile”. Ricorda come nell’opera trovano spazio “uomini e donne divisi dal colore della pelle, dall’ideologia, dalla religione, ma consapevoli che la guerra è la fine di tutti, che il destino di ciascuno è collegato a quello degli altri. Poiche non esistiamo senza gli altri. Un’idea che tendiamo a dimenticare di fronte all’esaltazione identitaria a cui assistiamo al giorno d’oggi con un rischio altissimo che l’umanità venga travolta dalla violenza. Ma c’è anche la consapevolezza che un movimento nuovo comincia ad emergere. Basti pensare alla marcia per la pace di Assisi, alle mobilitazioni delle scorse settimane, nate dall’indignazione, al di là delle forze politiche”. Ammette come “faremmo fatica a trovare personalità internazionali da collocare in questo murale” e riconosce come “La lacerante attualità dell’opera è nella speranza che si torni alla ragionevolezza e alla consapevolezza della propria finitezza e imperfezione. L’arte è chiamata ad avere, oggi più che mai, una valenza sociale, è una delle forme attraverso cui possiamo provare a rendere migliori noi stessi”.
L’ex ministro Ortensio Zecchino parla di un’opera rivoluzionaria sul piano della forma e del contenuto “sceglieva la figurazione in un contesto dominato dall’arte astratta e al tempo stesso raffigurava personaggi che erano lontani dal mondo della Chiesa, tanto da suscitare non poche polemiche. Era un’opera che rompeva tutti gli schemi, che mai si era vista in una chiesa, rappresentava un mondo in cui era possibile la convivenza tra diversi ma al tempo stesso restituiva l’orrore della guerra che non risparmia il popolo”. E sottolinea come ” Quando è stato composto la guerra era una ricordo. E’ la testimonianza he l’umanità non trae dalla storia insegnamenti, che non ha un saggezza, la carneficina a cui assistiamo è il ritorno a un passato che credevamo sepolto. L’artista che rappresenta i paesaggi, che dipinge l’acqua e il vento, non è diverso dall’artista che racconta l’umanità. E’ questa un’opera capace di parlare al di là dei tempi e delle barriere, che incarna il messaggio cristiano della necessità di aprirsi sempre all’altro”.
E’ Ettore de Conciliiis a concludere l’incontro, ricorda come “Dopo 60 anno anche a me sembra di rivedere l’opera per la prima volta” e sottolinea come “Senza don Ferdinando e Rocco Falciano non sarei qui. Avevo 22 anni quando incontrai don Ferdinando, era un uomo di grande spiritualità, al servizio degli ultimi, ma anche con una forte fede nell’arte. Avevo sempre dipinto paesaggio ma Intuivo che qualcosa stava cambiando anche nella chiesa, di qui l’idea di raccontare un grande paesaggio umano”. Spiega come tante sono le influenze che entrano nell’opera “Era una stagione di grande fermento artistico, dalla forza neorealismo all’arte di Guttuso. Ricordo che quando Gillo Pontecorvo venne a vedere il murale mi disse che era un’opera cinematografica, è come se tante scene coesistessero nello stesso spazio, dai morti dei lager alla manifestazione per la pace. In quegli anni era impensabile che entrasse in una chiesa il ritratto di un dittatore come Fidel Castro, accanto a quello del presidente Kennedy, di Guido Dorso e Papa Giovanni, insieme a donne che richiamano le contadine dell’Irpinia. Avevo assorbito la lezione del Concilio Vaticano II e volevo che l’opera raccontasse la necessità del dialogo tra forze politiche senza impedimento dialogico. Allo stesso modo, continuo a pensare che l’arte sacra debba portare un messaggio “che deve essere incontro, mettere da parte il narcisismo e lasciare spazio alla comunicazione spirituale”.