C’è un interessante elemento, di straordinaria attualità nel dibattito politico, contenuto nel discorso conclusivo che il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, ha fatto al Meeting di Rimini di Comunione e Liberazione. Il riferimento è alla fase di costruzione della Costituzione della Repubblica, nata dalla Resistenza.
Mattarella si sofferma molto sulla necessità del recupero dei valori per innovare la politica, oggi in grave crisi. In realtà, nel tempo che ci è dato vivere, sempre più spesso ci si sofferma sulla necessità di un polo moderato tra destra e sinistra, evocandolo con diverse definizioni: “Casa per i moderati”, “Centro politico” e nuovo ruolo dei “Cattolici in politica”.
Esaminando i percorsi fatti, ci si trova, però, di fronte a un’operazione non facile, più volte tentata ma, almeno fino ad ora, non riuscita. Sia pure in estrema sintesi è bene qui ripercorrere alcuni momenti significativi nella costruzione di un Centro tra gli estremi poli della politica.
Tutto comincia, e potremmo dire continua, con la fine della Dc, avvenuta anche per mano giudiziaria. Il partito che aveva costruito e garantito, insieme alle altre forze politiche, la democrazia nel Paese implode in seguito allo scandalo di Tangentopoli. La Dc si scompone in tanti rivoli, tutti con loghi diversi, e comunque di ispirazione cristiana. Nascono allora Udeur, Udc, Ppi, Margherita, ecc.
L’identità del vecchio soggetto politico si disperde. Nasce il leaderismo e con esso si avvia la fase dei partiti personali. Tanti i leader che si candidano a raccogliere l’eredità della Dc. Nessuno di loro però riesce ad aggregare nuclei consistenti, a ricomporre quel valore dell’interclassismo che aveva orientato e fatto la fortuna della Dc.
I moderati, in realtà, restano senza casa, giacchè quella proposta da Silvio Berlusconi ha il timbro padronale. Tuttavia, il sentimento non muore. Ne è prova, a metà degli anni Duemila, il successo che raccoglie Ciriaco De Mita, già longevo segretario della Democrazia Cristiana, girando in largo e in lungo il Paese, predicando il rinnovamento della politica con robuste radici nella Costituzione. Folle significative, laiche e cattoliche gli chiedono di rinverdire i valori che avevano nutrito il vecchio partito.
De Mita e altri autorevoli dc, sebbene sollecitati a dar vita ad un nuovo soggetto politico, tentennano e la sfida si sperde, facendo venire meno un’occasione storica. Con il trascorrere del tempo, altri movimenti si presentano alla ribalta della scena politica, fino ai tentativi recentissimi del Terzo Polo che vede insieme Matteo Renzi e Carlo Calenda.
C’è, infine, il richiamo al popolarismo sturziano e ad altri movimenti laici minori di ispirazione cristiana. Ma ogni volta l’aborto è dietro l’angolo.
Prevalgono il personalismo, la politica del piccolo cabotaggio, l’assenza di valori fondanti di orientamento della società impegnata a dialogare per il bene comune. Tuttavia, nonostante gli ostacoli, il confronto non si arresta. Prima timidamente, poi in modo sempre più incalzante, ci si rende conto dell’utilità nella modernità del pensiero cattolico. Alcuni intellettuali laici insieme ad alcuni vescovi scendono in campo.
Dicono, di fronte alla pochezza dell’impegno sociale, che i cattolici non possono restare a guardare. Il loro mutismo si rende responsabile della deriva della società.
A distanza di 80 anni, essi riscoprono il Codice di Camaldoli, tavole scritte dell’impegno dei cattolici in politica. Se ne discute apertamente, vengono editi saggi che propongono acute riflessioni, nascono comitati e associazioni che danno vita a quel collateralismo dialogante che era stato già sperimentato con successo negli anni del dopoguerra.
In che cosa consiste la differenza tra la politica attuale e quella che vien proposta dai nuovi movimenti? Il salto di qualità è rappresentato dal rifiuto della politica-politicante e dal recupero dei valori finalizzati al bene sociale.
Né più, né meno il percorso già sperimentato dal cattolicesimo democratico proposto da Dossetti, La Pira e tanti altri laici e cattolici, codificato nel Codice di Camaldoli. Alle “regole” scritte a Camaldoli e ai valori codificati, ha fatto riferimento l’altro giorno a Rimini, nel suo autorevole intervento, Sergio Mattarella, richiamandosi alla Chiesa di Francesco e all’impegno profuso dal cardinale Zuppi, presidente della Conferenza episcopale.
“L’amicizia – ha affermato il Capo dello Stato – non è una questione intimista. Nasce, anzitutto, dal riconoscere l’altro – nella sua diversità – uguale a noi stessi. Ecco, ancora una volta, perché il sentimento dell’amicizia supera la qualità – che sovente le viene attribuita – di mera terapia contro la solitudine; di edulcorante dell’esistenza; e riconferma, il suo valore di scelta sociale e politica su cui, nella dimensione della comune appartenenza all’unica famiglia umana, fondare la società, il rapporto con gli altri popoli”.
Aggiungendo: “Sono trascorsi ottant’anni, dal convegno di Camaldoli, nel luglio del 1943, nel quale, un nucleo di intellettuali cattolici, provò a delineare, le caratteristiche e i principi, di un nuovo ordinamento democratico. La dittatura fascista si stava consumando, ma ancora avrebbe causato – all’Italia e all’Europa – lutti, devastazioni, crudeltà, sofferenze. A Camaldoli, provarono – nella temperie più drammatica – a disegnare una democrazia, un ordinamento pluralista; fondato sull’inviolabile primato della persona; e sulla preesistenza delle comunità rispetto allo Stato. Perché il bene comune è responsabilità di tutti”.
Per concludere. E’ in queste parole del Capo dello Stato che si coglie la speranza di una diversità di contenuti tra la politica attuale, travolta da una crisi valoriale, e l’approdo ad un nuovo modo per nobilitare la politica.
Si tratta di continuare, se si vuole e chi lo vuole, nel percorso avviato, facendo emergere, recuperando e diffondendo il dialogo sui valori che furono nel passato caposaldo della nascita democratica.
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