E’ possibile che si ripeta una stagione politica come quella dei “magnifici sette”? Che un manipolo di valorosi giovani delle aree interne riesca ancora a scalare i palazzi del potere per arrivare ad occupare i posti determinanti della politica italiana? Quali condizioni hanno prodotto la loro ascesa? Quanto è stata benefica per il loro territorio e per il Paese?
Forse è da quest’ultima domanda che bisogna cominciare per rendere operativa, utile, concreta la riflessione. A provare a rispondere sono due protagonisti della grande stagione della Dc irpina, Giuseppe Gargani, ex europarlamentare, già sottosegretario alla Giustizia, e Clemente Mastella, sindaco di Benevento, ma politicamente made in Irpinia, ex Guardasigilli; e un terzo alfiere della Dc, trait d’union tra antico e moderno moderatismo, Pier Ferdinando Casini, senatore, erede della tradizione della Balena Bianca, strenuo sostenitore del Centro.
I tre si confrontano al convegno, nel Salone “Bottiglieri” della Provincia di Salerno, organizzato dalle Presidenze diocesane del Meic “Don Guido Terranova ” e della Fuci “San Gregorio VII” per la presentazione del libro del giornalista Rai, Daniele Morgera, “Li chiamavano i magnifici 7. Ciriaco, Gerardo e gli altri: verità e leggende della Dc irpina che arrivò a governare l’Italia” (edizioni La Bussola). A moderare il dibattito, il Vicepresidente Diocesano Meic Stefano Pignataro.
Tra verità e leggende democristiane c’è tutta o in parte una storia da riscrivere per comprendere se Gerardo Bianco, Nicola Mancino, Biagio Agnes, Salverino De Vito, Antonio Aurigemma, Aristide Savignano, Giuseppe Gargani e Ortensio Zecchino sono stati realmente magnifici e perché.
Forse perché non basta solo essere testimoni dei valori del Popolarismo, ma ci vuole passione e spirito di servizio, osserva l’arcivescovo monsignor Andrea Bellandi: “Da giovane, impegnato nelle realtà cattoliche che avevano interesse per il governo della polis, sin dai tempi del liceo cercavo di vivere il dibattito politico come una ansia di confronto sulle grandi questioni di quel periodo: questo dialogo oggi si è perso”.
“Dopo la fine della Prima Repubblica – argomenta il giovane presidente della Fuci, Andrea Di Palma – la politica si è trasformata in uno scontro senza esclusione di colpi e tutto finalizzato al perseguimento del consenso. Invece, per incanalare i conflitti sociali e politici bisogna comprendere la complessità dei fenomeni e dare linfa al meccanismo della democrazia rappresentativa tornando allo studio profondo dei problemi e dei principi di fondo che alimentano l’agire politico”.
Il metodo dei magnifici sette, ricorda il direttore del Corriere dell’Irpinia, Gianni Festa, citando Fiorentino Sullo, padre nobile del gruppo, e Salverino De Vito, che ne fu l’organizzatore, è lo studio, il dialogo, l’impegno sincero verso il territorio, verso le aree interne marginalizzate che avevano e hanno bisogno di riscatto, di una rappresentanza politica che riesca ad interpretare e soddisfare i bisogni reali della gente. Mentre oggi va di moda il trasformismo, che invece sui bisogni specula, contro cui Guido Dorso aveva messo in guardia.
Il segreto vincente della Dc irpina sta poi nel modello di un partito retto dai valori e non dalla gerarchia, fondato sulla democrazia, è l’analisi di Mastella, che si identifica come l’ottavo dei magnifici sette. “C’era allora un modo di fare politica diverso dall’oggi, un altro stile”, conferma. “La Dc, che non è più replicabile, aveva dietro di sé la povera gente e non gli interessi particolari. Avevamo il Sud con noi”. “Sapevamo fare squadra – dice l’ex Gaurdasigilli – ci aiutavamo a vicenda perché il nostro obiettivo era la rappresentanza collegiale ed efficace di un territorio e non il potere personale”.
Territorio e valori è il connubio che anima i sette Dc. Valori cattolici, s’intende. A proposito, “la Margherita, sulla scorta dell’esempio della Dc, aveva un senso: purtroppo oggi non è possibile riproporre la stessa esperienza a meno che non si riesca a coinvolgere quel pezzo di Centro che milita nel Pd. In realtà, i cattolici – sottolinea Mastella – adesso votano ovunque, anzi più a Destra che a Sinistra”.
Se non ci sono più i valori, se non vanno di moda, almeno dal territorio non si dovrebbe prescindere. La lezione dei magnifici sette, secondo Morgera, sta proprio nella loro capacità di emergere mettendo – nel segno di don Sturzo – al primo posto l’agire politico per il territorio: per tale ragione sono stati definiti ‘basisti’. Immaginarono l’industria di montagna per portare nella loro terra ciò che più mancava: il lavoro.
Che significa riconciliare la gente con la politica, sottolinea Casini: “Negli ultimi anni è esplosa l’antipolitica: per avere consenso serve qualcuno con cui prendersela”. Non si vedono le soluzioni ai problemi.
E manca soprattutto l’ideale: “Noi che abbiamo studiato sulla Rerum Novarum abbiamo in questo periodo la conferma che la dottrina sociale della Chiesa, come predica anche il nuovo pontefice Leone XIV, è la risposta alle disparità prodotte dai mercati asserviti alla grande finanza, perché mai come ora si contano così pochi ricchi e tanti poveri. Il clientelismo irpino è stato la risposta ai bisogni degli ultimi”.
Gargani raccoglie l’assist senza esitazione: “C’è da correggere la storia della Prima Repubblica (lo fa Morgera nel suo libro), una narrazione condizionata, in modo a tratti abnorme, dalla magistratura. Una storia sbagliata della politica. Si è diffusa l’idea che tutti i partiti erano corrotti e i giudici infallibili. Si è dimenticato il contributo ineguagliabile che la Dc ha dato allo sviluppo del Paese, alla modernizzazione politica e sociale dell’Italia, la Dc che ha indirizzato sempre la sua azione verso il bene comune e non al clientelismo, producendo una classe dirigente ineguagliabile per cultura e per agire politico, aperta al confronto con gli altri partiti, con tutte le forze sociali, con le persone, una classe dirigente che aveva nella sua formazione culturale, nella sua sensibilità, nei valori senza ortodossia i presupposti del successo del buon governo del territorio”.
Non è poco, ma la speranza non è vana: i magnifici sette possono tornare. Forse non subito.