“Un passato gravido di futuro. Una storia per costruire il nuovo”. Insomma la Dc non passa, secondo Luigi Anzalone, filosofo e politico, ex assessore regionale della giunta regionale di Antonio Bassolino. Che ritrova al suo fianco parlando dei fuoriclasse irpini della Balena Bianca, in occasione della presentazione del saggio “Li chiamavano i magnifici 7”, uno studio di Daniele Morgera che a 80 anni dalla nascita della Democrazia Cristiana ne riporta alla luce “verità e leggende”.
All’hotel De Ville ci sono anche Francesco Pionati, direttore del Giornale Radio Rai e di Radio 1, storico esponente del Centro, e Giuseppe Gargani, protagonista della stagione Dc. A moderare il dibattito Gianni Festa, direttore del Corriere dell’Irpinia.
E’ Anzalone ad introdurre, osservando subito che “finita la grande storia della Dc inizia la notte della Repubblica”, chiarisce. “I magnifici sette sono un pezzo pregiato della stagione democristiana, il meglio dell’intelligenza e della cultura civile e politica dell’Italia e del Mezzogiorno. Una evenienza difficile a riprodursi”, ammette.
I magnifici sette, che sette non erano: Ciriaco De Mita, Gerardo Bianco, Nicola Mancino, Biagio Agnes, Salverino De Vito, Antonio Aurigemma, Aristide Savignano, Giuseppe Gargani e Ortensio Zecchino. Otto, anzi nove. Anzalone aggiunge Fiorentino Sullo. Per diverse ragioni: “Ad esempio, nel 1962 fece una legge urbanistica talmente avanzata e bolscevica che i comunisti non hanno mai più osato riproporla. Se fosse stata realizzata la devastazione urbanistica e idrogeologica del territorio a cui abbiamo assistito non si sarebbe stata. Secondo questa norma si costruiva infatti solo alla luce della programmazione economica, sociale e civile, lasciando la proprietà dei suoli dei Comuni. Oggi l’Italia sarebbe un Paese più vivibile”.
“La Dc – continua – fu un luminoso segmento pregiato. O come disse Moro – descritto da Aniello Coppola ‘il volto nobilmente afflitto del potere democristiano’ -: una intuizione esigente di libertà. Questo, avrebbe affermato Berlinguer, fu il segno caratterizzante di questa storia politica. Che si contrassegnò anche per tante ombre soprattutto perché la Dc dovette inglobare nel suo seno un elettorato fresco di fascismo”, ragiona Anzalone.
“In questi giorni – aggiunge – purtroppo siamo dominati da una grigia indistinta mediocrità e dall’incultura. Si discute, ad esempio, della tessera del Pd con gli occhi di Berlinguer. Vedo il disagio dei suoi occhi a posarsi sulla nostra tessera. Quegli occhi che avevano allora come controparte Moro. Del resto, Berlinguer cominciò a morire quando morì Moro”. Dc e Pci erano complementari, non potevano fare a meno l’una dell’altro.
Lo sostiene pure Bassolino, ex governatore della Campania e ministro del lavoro, segretario regionale del Pci, che afferma di aver conosciuto tutti i magnifici sette: “Ci siamo confrontati, abbiamo avuto momenti di conflitto e di costruzione. Siamo riusciti sempre a contenere lo scontro entro un certo limite. Poiché quando si supera la soglia diventa un problema. Ci si rincorreva nelle piazze per i comizi. Ricordo una sera a Bisaccia: io parlavo in piazza, De Vito al cinema. Sono stati anni importanti per la mia formazione politica”.
Venendo all’attualità, Bassolino si dice preoccupato per le inchieste che in Irpinia riguardano l’ex sindaco di Avellino e le amministrazioni di Monteforte e Quindici. Di fronte alla questione morale “bisogna ricostruire la fiducia nella politica, la politica – è l’appello deve essere al servizio dei cittadini. Da questo punto di vista la campagna elettorale sarà un termometro”.
E infine Gargani, che è stato uno dei magnifici sette: “Era una classe dirigente che ha combattuto per il Sud, per la Costituzione, valori oggi respinti. Pensare di dimenticare il Mezzogiorno, di spezzare l’Italia nella sua unità fatta con grande sacrificio è un delitto. Quei valori dovrebbero continuare a ispirare tutta la classe dirigente, se ancora ce n’è una. Purtroppo vedo un deserto”.