di Fiorenzo Iannino
Nel giorno del Venerdì Santo a Lapio si rinnova un’antica tradizione: nelle principali piazze del paese si espongono pubblicamente i Misteri, ventidue gruppi di statue in cartapesta a grandezza naturale, dette anche ‘tavolate’, che ripropongono le più drammatiche ed importanti scene della passione e morte di Cristo, da sempre custodite presso la confraternita della Madonna della Neve. La prima scena raffigura un Giuda inquieto e tremante mentre riceve dai sacerdoti del sinedrio il compenso pattuito per il tradimento del Messia. L’ultima è dedicata alla deposizione dalla croce. Per la loro fragilità materiale, con gli anni i Misteri hanno dovuto subire vari e necessari restauri, che non ne hanno però alterato il valore, soprattutto emotivo. L’esposizione si fonde con l’altrettanto tradizionale processione del Cristo morto e dell’Addolorata, che ancora negli ultimi decenni del secolo scorso si dilatava dalla tarda mattinata fino all’imbrunire. Nel corso di questo lungo rito ogni tavolata (una volta portata a spalla e più di recente su trattori) sostava dinanzi a due predicatori: il primo teneva la sua orazione allo ‘Strepparo’, il secondo all’Arenella.
Per quanto concerne l’origine dei Misteri, possiamo ricordare che essi furono realizzati a Napoli attorno al 1810. Infatti, in una supplica inviata all’intendente del Principato Ultra nel 1840, il priore della confraternita Tommaso Statuto, dichiarò testualmente che “CORRONO GIÀ SEI LUSTRI DACCHÉ DETTA CONGREGA MOSSA DA UNA VIVA DEVOZIONE FECE FORMARE IN NAPOLI IN CARTAPESTA I SIMULACRI DELLA PASSIONE DI GESÙ CRISTO SI AL VIVO”. La processione dei Misteri era subito diventata una consolidata e sentita tradizione popolare: ‘Fin da principio –disse ancora il responsabile del sodalizio- vi chiamò il concorso del popolo dà più lontani comuni per venerare sì bella e commovente funzione in ogni Venerdì Santo non potendo far ammeno di non disfarsi in lagrime per la tenerezza e per lo dolore nel mirare tali divini Misteri’. Segnando profondamente il patrimonio spirituale della comunità, la confraternita aveva anche promosso un importante evento a suo modo turistico: si accorreva in massa (e a piedi) dai paesi vicini per assistere al rito ma anche per trascorrere qualche ora in una animata fiera (organizzata ancora oggi) dove si potevano acquistare attrezzi agricoli o animali. I più fortunati potevano concedersi un frugale ristoro in qualche improvvisata osteria, magari sorseggiando il celebre Fiano locale.
Lapio si inserì allora in un circuito devozionale che dalla penisola iberica giungeva alle terre dell’ex regno borbonico. Nel contesto irpino, Lapio può vantare la fortuna ed il merito di aver mantenuto sempre vivo un evento che rappresenta un’autentica pagina di storia religiosa ed antropologica delle nostre terre.