Di Gianni Festa
Mentre Vincenzo parlava, mostrando timidezza e nel contempo coraggio, pensavo che i mondi dei giovani sono tanti e diversi tra loro e che la selezione del meglio può favorire la nascita di una società migliore, con una classe dirigente di cui il Paese ha urgente bisogno. Vincenzo ha sedici anni e ha scelto di impegnarsi nell’Associazione “Fausto Addesa”, giovane dirigente politico scomparso prematuramente. Con la sua faccia pulita Vincenzo ha confessato di aver paura, in particolare di sera, di camminare per le strade della città, tra bande giovanili che fanno uso di droga e offrono scene di violenza. Questo è ancora un altro mondo. Vincenzo ne sta lontano, ma non giudica. Vive in un altro mondo con tanti amici che si impegnano nella solidarietà, preoccupati di costruire un futuro nel contesto in cui vivono. Ci sono poi le tante Caivano delle periferie abbandonate a se stesse nelle quali i reati sono sommersi e solo quando i fari si accendono sulla squallida realtà ci si accorge che un terzo mondo è ancora possibile. Parlo di questi mondi perchè ritengo che sia solo un modo qualunquistico affermare genericamente “i giovani”. Ma a quali mondi essi appartengono e quali sono le motivazioni della loro adesione? In realtà, pur dando ragione a coloro che si soffermano sulla crisi delle agenzie sociali, scuola, famiglia, parrocchia, forze politiche e sindacali, c’è qualcosa che manca nella comprensione dei diversi mondi. Ed è, a mio avviso, il chiedersi da parte di noi adulti, quale rapporto abbiamo con la generazione successiva a quella da noi vissuta. Certamente difettiamo del valore dell’ascolto, esibendo talvolta la nostra referenzialità, e più ancora, adottando un modello autoritario quando non riusciamo a metterci in sintonia con un mondo a noi lontano. E’ cosa buona e giusta (ma non sempre) anche affidarsi al modello repressivo che altro non fa se non accentuare il malessere di chi lo subisce. E’ sicuramente un modello valoriale quello di raffrontare un tempo passato esaltando i costumi di una civiltà contadina “del pane amore e fantasia”, ma lo facciamo senza renderci conto che parliamo a noi stessi con coloro che con un semplice click viaggiano in un mondo incontrollato e curiosamente attraente, a volte verso il peggio. Di questi modelli comportamentali Vitaliano Della Sala, prete di strada, parroco di una frazione di Mercogliano, Capocastello, dove il bello si confonde con il brutto e il bene con il male, accogliente fin da quando questo termine era destinato a diventare drammatico, come oggi è nel caso delle migliaia di migranti sotto un cielo indistinto, ne sa molto e profondamente. Conosce bene i mondi nella loro diversità. Ascoltarlo è una grazia di Dio per chi ha fede cristiana o non la ha. La sua sociologia evangelica si consuma nella semplicità del dialogo con i ragazzi in difficoltà e con coloro i quali vivono e si battono per un mondo migliore. Può anche non essere compreso per la sua spontaneità che irrita chi si sente inadeguato al dialogo, ma alla fine quando Vitaliano entra nei diversi mondi altro non fa che attraversare il percorso irto di difficoltà per affermare il bene comune. Scusate se cito il desiderio di un illustre meridionalista avellinese, Guido Dorso, che nel suo sogno di cambiamento reclamava cento uomini di acciaio. Forse cento Vitaliano sarebbero già un robusto pilastro per sostenere i i diversi mondi.