di Virgilio Iandiorio
Quando in documenti medievali leggiamo castrum, oppidum, terra, rocca, casale, civitas siamo portati a tradurre tutti con il termine nostro di paese. Se venivano dati nomi diversi ai centri abitati del Regno di Napoli un motivo doveva pure esserci. Ad esempio l’appellativo di civitas era appannaggio dei centri con un vescovo o che avessero un ufficio regio o che avessero ospitato anche per breve tempo il re.
Nel medioevo il sostantivo latino nemus, che indicava il bosco, aveva ceduto il posto ad altri termini portati dalle popolazioni che alla caduta dell’impero romano erano venute nella penisola. Resistette meglio alle innovazioni linguistiche la parola latina silva, tanto che ancora oggi l’altopiano dell’Appennino calabro ne porta il nome “La Sila”. La selva nelle nostre contrade irpine indica ancora una particolare associazione arborea, il castagneto da frutto. Che dire del termine “le Surti”, che indica la zona al sommo delle colline tra Montefusco e Torrioni. Un termine, che volendo azzardare una etimologia, potrebbe derivare da surrectum (participio passato del verbo surgo,-is= sorgere, spuntare) e indicherebbe i boschi cedui.
Dai Franchi (o dai Tedeschi) ci viene il termine bosco, che sostituisce quello latino nemus. Ancora oggi il territorio tra i comuni di Montefalcione e Montemiletto è detto Bosco.
I Normanni ci portano la foresta, il bosco di proprietà dei conquistatori. E fino a non molti anni fa era chiamata con il nome di Foresta di San Giovanni la zona rurale di Montemiletto attraversata dall’autostrada Napoli Bari. Oggi tutta la contrada è conosciuta solo come San Giovanni.
A Montefalcione , per esempio, si incontrano nei documenti d’archivio tutti e tre questi toponimi: Bosco grande, Foresta, Selvetelle, Selva dei Mazzi.
Michèle Benaiteau (“Vassalli e cittadini – la signoria rurale nel Regno di Napoli attraverso lo studio dei feudi dei Tocco di Montemiletto (XI-XVIII)”, Edipuglia 1997) scrive in proposito;” “Questi dettagli minimi ci introducono nel cuore del paradosso della mentalità rurale: essa respinge il cambiamento, o almeno cerca di convincersi e di circondarsi di certezze stabili al punto da essere riuscita ad ingannare gli storici perché la prima impressione di chi legge le fonti è quella della ripetizione e dell’uniforme. Invece, il fluire degli avvenimenti minacciava continuamente di travolgere la società paesana, non solo con il ritmo accelerato e incontrollabile della nascita e della morte, ma anche nei suoi rapporti con la natura e con le altre presenze sociali che tanto pesavano sul suo destino”.



