La poesia come strumento per raccontare l’Irpinia, una terra e la sua identità. E’ il senso della maratona letteraria “Humus d’Irpinia”, a cura di Rossella Luongo, partita ieri presso Mu.Bi.Hub in piazza Libertà per concludersi oggi al Circolo della stampa. E’ Rossella Luongo a spiegare come il progetto del Canto delle radici, edito da Scuderi, sia nato come “mappa simbolico-concettuale della terra d’Irpinia, a partire dal proprio vissuto come rievocava Victor Hugo dai suoi ricordi d’infanzia. Un mosaico geografico nel lavoro corale di un gruppo di Irpini di origine, adozione, insediamento, trasferimento, dal giovanissimo all’anziano. Sono tutti versi profondamente diversi per stili e intenti letterari ma accomunati dall’amore per la propria terra con l’obiettivo di esaltare il carnale bisogno di appartenenza alle radici. Un itinerario tra ricordi, tradizioni, usanze di un popolo, un viaggio storico, esperienziale, senza tempo”.
A comporre la raccolta i versi di Maria Consiglia Alvino, Gaetana Aufiero, Anonetta Carrabs, Antonio Cipriano, Domenico Cipriano, Oriana Costanzi, Prisco De Vivo, Ottaviano De Biase, Laura Di Donna, Graziella Di Grezia, Giulietta Fabbo, Monia Gaita, Antonietta Gnerre, Claudia Iandolo, Gennaro Iannarone, Gerardo Iuliano, Giuseppe Iuliano, Rosella Luongo, Vera Mocella, Antonio Oliva, Elena Opromolla, Federico Preziosi, Antonella Prudente, Ilde Rampino, Simona Rotondi, Giovanna Santagati, Gerardina Scarlatella, Emanuela Sica, Rossella Tempesta.
Così Maria Consiglia Alvino traccia un parallelo tra gli spazi di Atripalda e del suo cuore “Certi giorni il cielo si abbassa/Siamo acqua di fiume, nulla più/In alto distinguo castelli divelti, il convento, tre croci, le stelle/i martiri dormono/nessuno li guarda/l’orizzonte disegna destini/piano piano si accampa….Certi giorni sono anch’io(una rovina a cielo aperto/un mercato, un arrevuoto, non so il prima ma so il dopo/io non c’ero al terremoto”. Un’omosi tra paesaggio interiore ed esteriore che torna anche in “Sul monte Terminio “Nel nerore d’intorno Montevergine/disegnerà per te taglienti diamanti/voti dorati al cielo su distese di amianti”. Sono, invece, i versi di Gaetana Aufiero, letti dalla bravissima nipote Eleonora Conti, detta Nina, a rivelare tutta la forza che caratterizza il dialetto in squarci di ricordi legati a San Paolo di Tufo “Nun t’arricuordi, dì, nun t’arricuordi ru’ Maravaso, tutto niro e scuro?/Cu nu cappiello ch’era nu tauto, nu manto niro comm’nu peccato/Tornava a sera ‘ a vascio ‘a rint’e Bascianze. Parlava/sulo, sulo ca facea paura(Paura a chi? A nui suricilli estivi, tutto nu fui fui e tremiti int’ a scuria”
Gennaro Iannarone rievoca uno spaccato di vita contrapponendo il verde dell’Irpinia al grigio del diritto, richiamo alla professione scelta “Vidi così la luce nella mia verde Irpinia/dove bruciai l’infanzia consumando l’ore/nei semplici giochi dei ragazzi di borgata/Su altro colle mi attendeva l’età inquieta/la dolce adolescenza che ebbe compagno/sempre amore di ragazza. Da studi classici/attinsi, come per dono, parole come colori. Il grigio diritto ha dipinto, poi, l’animo mio”. Una tensione tra umanità e rigore, cuore della sua esistenza, che ritorna anche ne “Il colore del processo” “Solo nel processo caldi colori ricoprivano/il grigio del diritto.Quella battaglia aspra, dura/che un forte impegno mi richiedeva/quand’ero arbitro di tenzoni per la libertà/ora mi vede quasi spettatore nelle contese/per opporsi al Fisco”.
Il legame forte con la terra, fin quasi a sentirne la sofferenza nelle viscere ritorna nei componimenti di Giuseppe Iuliano, che ammette di sentirsi “poeta ribelle ed eretico”, come in “Animaterra” “Amo questa terra/che ha sciami e denti di case/vive tra colori sbiaditi/e carie diffuse che scavano/a fitta nel corpo e nell’anima/gengive di zolla e lacerti”. Mentre nei versi di Gerardo Iuliano compare una moderna Spoon River “Vado a trovare/quelli che conosco meglio/del paese/Qua vicino,/sotto i prefabbricati…/La sfilata dei morti/al cimitero/Tutti ricordi di bambino/All’ingresso il figlio di Prefetto/mi somigliava, magro e scavato”. Un legame con le radici scritto nella nostra genie, nell’eredità dei nostri genitori, come scrive Federico Preziosi “Ho la voce di terra, impastata/ di remoti pensieri. Domando/a me stesso da dove provenga/C’è qualcosa di nonna e di mamma/nelle corde che legano al senso/primigenio del tempo…E la voce che chiama è terra/che conosce l’inizio e la fine/un fittone ingioiato dal suono/che raggela nel nome dell’uomo”. “Ti adagi su tre colli/la cui fatica, roccaforte/è nel riempire le piazze e le chiese… – scrive Marianna Iannarone – ti ricordo le tue umili origini/zona orfana di occasioni alla pari/raccogli la mia supplica e non morire/come le tradizioni alla storia/come i giovani alla patria/e il meridione ai suoi figli”
La ferita del sisma ritorna con forza nei versi di Vera Mocella, centrale nel racconto dell’Irpinia “Lo sentimmo venire l’odore acre di morte/era nel vento/nel sole troppo forte/nei giacigli di nuvole…A nulla valse la tenerezza della madri/le viscere aperte/i grembi che palpitavano ancora”
Mentre Prisco De Visco consegna un affresco in cui la tempesta e i fulmini appaiono nell’anima, in un intreccio tra spazio interiore ed esteriore “La notte è chiara ed io scendo/come in un girone oscuro/tra le colline di Monteforte/Quelle rimarchevoli curve/rese luccicanti dalla pioggia/inquietano”. “Passeggia la notte nella mia città- scrive Antonio Oliva – ci troverai/il mondo che giri/con costosissime vacanze/un sorriso/e tante cose buone/Non fuggire dalla tua ombra/lo fa già/tutto ciò che ci circonda”, come a disegnare un contrasto tra le luci e il benessere apparente che nascondono ferite. Ottaviano De Biase esplora le profondità dell’anima “Sospesa mi fu l’alba/Come spesso mi capita/anche oggi/questa sconosciuta/mi regali immagini…Per una vitta fatta di noi, sospesi/fin dal giorno che ci siamo conosciuti/fino a quando, a mia insaputa/tornerai a farti urna d’acqua, mia reliquia”.
Si fanno omaggio alla terra i versi di Elena Opromolla “Lungo le stradine/della campagna irpina/occhieggiano le castagne/novelle sul pungente/tappeto degli acheni/arresi alla stagion/che viene ad annunciar/il sonno della terra antica”. Rossella Tempesta sembra dialogare con la natura, incapace di rispondere ai suoi dubbi in Torrente Fenestrelle “Tu mi parli del generale e della marcia su Mosca/ed io sento che tutto è insignificante/al tempo stesso/in cui è parte/espressione del caos, del caso”. Antonietta Gnerre racconta l’alternarsi delle stagioni nelle nostre vite e nella natura “Non domandare nulla/La primavera arriva/per rimarginare il perimetro di una ferita/il ghiaccio dell’eterno/portato sulle nostre dita”. Giulietta Fabbo rende omaggio alla storia della sua Prata “Un cuore antico/scavò nella roccia/il segno forte della tua essenza/il colle accolse preghiere occulte/soffuse voci di catacombe” per ribadire come “la valorizzazione del territorio passa anche attraverso la produzione letteraria”. Laura Di Donna ritorna sul tema del sisma “Vivevamo in case prefabbricate, edilizia popolare/balconi, ballatoi di cemento/erano fuori ma ancora dentro/Chiese come sale del regno/Gesù Cristo sfrattato/in un tabernacolo prefabbricato/scuole laminate d’amianto”
Monia Gaita denuncia l’abbandono dei paesi “Oggi i paesi sono un santuario/per gli uccelli e per i vecchi/che di sicuro possiedono l’artrite/la casa e la pensione”. Una desolazione che traspare anche nell’Hirpinia di Graziella Di Grezia “I vecchi dei paesi/ballano in piazza/quando l’orchestrina/suona/Ballano con le ciabatte/ e la maglie sulle spalle/Ballano di tristezza/ e di organetto”. Claudia Iandolo si sofferma sulla sofferenza di chi vive lontano dalla propria terra “Dall’America non ri scrivo che sto male perchè non si danno silenzi in lontananza/Ti scrivo anzi che sto bene e che nemmeno so che cos’è la nostalgia/Non aspettarti che attraversi il mare o qualunque cielo per tornare/Secca la zucca e sta attenta ai peperoni/Fà che la vite non si stanchi della luna”. Un tema che ritorna anche in “Figli dei figli dei figli” di Oriana Costanzi “Le valigie di cartone sono state bruciate/Partiti all’alba di un giorno che fu/pezzetti di cellule cadute nel mare ogni tanto ritornan/nuovi di sangue”.Mentre la bellezza della terra irpina appare nei versi di Domenico Cipriano “nemmeno i corpi uniti nell’amore/ e racchiusi in un respiro/sanno dire dell’immenso in cui mi perdo ora/per questo tramonto vulnerabile e mobile”. Ilde Rampino consegna alla pagina il suo amore per Frigento “Case circondate dai monti/come in un abbraccio immaginario/di protezione/il vento che si insinua tra i rami degli alberi/creando una melodia antica/che fa rivivere i ricordi del passato/cullata dalle cantilene dei vecchi, fatte di parole che evocano emozioni dimenticate/mentre una lacrima di rimpianto scende dai loro occhi”. Emanuela Sica sceglie di partire dal legame con la madre e la terra “Madre/che lacrimasti sangue alle radici longobarde/grappoli di vite nutriti nel silenzio/di muschio e aghi di pino/riprendi nelle mani callose/la terra che matura dal ventre delle montagne innevate/riannoda i sentieri dell’aratura al pascolo”. La dura tempra degli irpini emerge nei versi di Rossella Luongo “…perchè la malattia ci ha donato/un terzo occhio e un sesto senso/ma avevamo già in noi il seme di quella forza titanica/per risollevarci amazzoni/del regno della fiabe antiche/l’Irpinia si declina per fasce c’età”.
Squarci di immagini e versi che si fanno narrazione preziosa, attraverso punti di vista differenti che consegnano il ritratto di una terra sofferente ma carica di bellezza. “In questa antologia – scrive Mariaclotilde Colucci -si coglie la presenza di questo registro poetico-onirico, accanto a quella immediatezza affettiva capace di collegare l’individuo alla propria matrice generativa”. Un progetto che si affianca a quello della raccolta “Irpini per sempre”, curato sempre da Rossella Luongo, che consegna uno sguardo prezioso sull’Irpinia, affidato a testi in prosa e alla sfida firmata da Scuderi della rivista “Agorà giovani”, diretta da Marco Grasso. Un progetto che, promette Rossella, non si esaurisce con questi due volumi