È davvero per i sentimenti profondi di amore e di appartenenza, per le radici della nostra bella Italia, che mi fanno vincere il disgusto, per tentare una sofferta riflessione sulla situazione politica italiana dell’ultima settimana. Da anni, come tanti amici, abbiamo tentato di offrire contributi e proposte per promuovere una responsabile e attiva mobilitazione civile del nostro tessuto sociale, per uscire dalla palude della insignificanza politica e della deleteria disaffezione verso i rappresentanti della nostra democrazia e della loro malapolitica. Abbiamo non solo fatto analisi, ma abbiamo anche promosso e costruito proposte formative per un risveglio culturale, civile e sociale, auspicando la discesa nell’agone sociale e politico di stature di tutto rispetto che hanno preferito – forse sono state costrette – a rimanere nello spazio amaro del loro privato relazionale o nell’esercizio esclusivo del loro impegno professionale. Probabilmente siamo stati percepiti come pellegrini solitari lungo i difficili itinerari che avevano delineato: i tanti compagni di viaggio in cui avevano sperato non hanno sostenuto il nostro tentativo di una serena efficace e credibile mobilitazione per l’avvento di una classe dirigente capace, dignitosa e disposta ad ascoltare le istanze politiche e sociali di una comunità sofferente, dove a pagare i costi delle scelte scellerate sono stati – e lo sono ancora – sempre gli stessi, cioè gli ultimi, quelli senza voce. Gli avvenimenti politici degli ultimi anni, caratterizzati dalla macroscopica incapacità di eleggere il Presidente della Repubblica e dalla ripetuta incapacità di eleggere un Presidente del Consiglio espressione autentica della democrazia rappresentativa ci avevano fatto ritenere che il ricorso a Mario Draghi, figura di alto profilo professionale, apprezzato in Europa e nel mondo, fosse l’occasione per poter fronteggiare efficacemente le crisi passate e quelle attuali, quelle già croniche e quelle non previste del sistema Italia. Eravamo non pochi a ritenere che quest’occasione fosse quella buona per una auto-responsabilizzazione delle classi dirigenti partitiche per una loro comune riqualificazione, sul piano interno nazionale e su quello europeo. È nonostante tutto l’Italia aveva, ed ha ancora riacquistato un ruolo primario all’in – terno di un complesso quadro europeo, non ancora contrassegnato da un Comune e organico pensiero politico, ma solo impegnato sul fronte economico e finanziario. Il governo di unità nazionale, guidato da Mario Draghi, s’era rivelato l’approdo necessario per affrontare le criticità italiane, con l’aiuto significativo e rilevante dell’Europa. Le ricorrenti e inopportune sortite di alcune forze politiche della coalizione governativa, non erano mai apparse come evidente disapprovazione delle scelte compiute dall’esecutivo. La incomprensibile – per alcuni ridicola – sortita dei 5 stelle della scorsa settimana costituisce il clamoroso e scellerato tentativo di risolvere i problemi interni di una forza politica ribaltandone gli effetti sull’intera coalizione governativa, in un momento in cui si sommano drammaticamente gli aspetti negativi di una crisi dalle proporzioni mai così rilevanti. Gli osservatori politici più accreditati non escludono il ricorso anticipato alle urne, come sbocco della crisi. Se davvero il popolo italiano dovesse essere chiamato alle urne, c’è il rischio che il numero di coloro che non voteranno aumenterà. Le ragioni del non voto sono tante, ma una resta fondamentale: per chi dovrebbero votare gli elettori se il meccanismo della scelta non consente di scegliere i migliori, comunque di non eleggere i peggiori. Lo strumento democratico della preferenza è stato, per decenni e in momenti non sempre facili, il sale della democrazia e il protagonismo concreto degli elettori. Perché e per chi votare allora, se nulla è cambiato a causa di un cinismo partitico, autoreferenziale e irresponsabile. In questo quadro politico desolante è auspicabile che l’appello a Draghi per restare da parte di oltre mille sindaci, eviterà il peggio: si tratta dell’unico barlume di responsabilità democratica, all’esterno delle asfittiche aule parlamentari.
di Gerardo Salvatore