di Felice Santoro
Sono trascorsi pochi anni dalla morte di Saverio Festa, avvenuta in Avellino nel marzo del 2019. Docente di storia di filosofia della politica nell’Università di Salerno, non amava essere chiamato professore. Si presentava infatti come “ragioniere”. Come accadde a me, quando la prima volta me lo presentò il suo amico carissimo, Fausto Baldassarre.
Avrebbe potuto avere un ruolo più grande e ambizioso di quello che tocca ad un intellettuale che vive in provincia. Ma non desistette per tutta la sua vita dall’impegno di far “ragionare” di filosofia anche nella sua terra.
Insieme con Angelo Antonio Di Gregorio mise su “Il Borgo dei Filosofi” una manifestazione a dir poco innovativa, e che, dopo l’inizio nel 2006, venne ripetuta più volte negli anni seguenti.
Quella del 2009 fu interessantissima per qualità degli interventi e per partecipazione di pubblico. Per una settimana ad Avellino si avvicendarono sotto la tenda, posta nella strada principale della città, esponenti della filosofia italiana ed europea. E così il corso Vittorio Emanuele, quello delle lunghe passeggiate, divenne anche “la strada della filosofia”. Che la manifestazione avesse suscitato interesse era un fatto importante, anche per la presenza degli studenti delle scuole secondarie della città e della provincia. Almeno quella volta disertare le aule scolastiche per una lezione di filosofia “nella strada” era valsa la pena.
Quando ci incontravamo per il Corso di Avellino si discuteva degli avvenimenti più importanti e chiacchierati del momento. E quando il discorso scivolava sulla realtà culturale della provincia, soleva ripetere: “Meno male che il mondo non finisce ad Avellino”.
Figura di intellettuale libero, Saverio Festa. Certamente nel senso che non temeva di smuovere la quiete della cultura nostrana, intenta a rimestare l’acqua nel mortaio. Poche le voci fuori dal coro dei rassegnati.
Ebbe il coraggio di realizzare una giornata di studi su Giovanni Preziosi, sacerdote spretato di Torella dei Lombardi. Apriti cielo! L’iniziativa venne contestata, come se il solo fatto di parlare di un personaggio legato al Fascismo e collaboratore alla stesura delle famigerate leggi razziali del 1938, potesse significare la sua rivalutazione.
Più che contestazione aperta, ci furono mugugni diffusi, anche quando Saverio Festa organizzò una giornata di studi su Giovanni Palatucci. Delusione, quando Marco Coslovich ragionò di storia e non di miti.
Per Saverio Festa il dibattito culturale non conosceva pause. Egli non era certamente un sovversivo, ma voleva trovare nelle opere e nei protagonisti della nostra cultura quella effervescenza che ne dimostrasse la vitalità.
Naturalmente il richiamo che può esercitare un cantante di grido quando si esibisce durante le feste patronali, non è lo stesso del filosofo che tiene una lezione magistrale. Ogni cosa a suo tempo e luogo. Sarebbe un esercizio fuorviante, quello dei confronti tra cose incongruenti. Credo che sia opportuno ripetere le parole che scriveva Carlo Nazzaro a proposito dell’Ofanto: l’importanza di un fiume non è determinata dalla sua portata d’acqua. Sarebbe un vero guaio oggi, all’epoca di Internet e dei social network, ragionare di filosofia come se fosse uno spettacolo televisivo di basso livello, cioè quelli a cui assistiamo quotidianamente.