Rosa Bianco
Dialogo con il Professor Sandro Staiano, uno dei maggiori costituzionalisti italiani, già direttore del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università Federico II, sulla crisi dell’ordine costituzionale, la centralità della persona e il dovere civile di difendere la pace, in occasione della sua lectio magistralis alla Scuola di Educazione Politica, diretta dal prof Franco Vittoria, nella suggestiva cornice di San Pietro a Cesarano a Mugnano del Cardinale (AV), il 26 aprile 2025.
Professore Staiano, potrebbe illustrarci in termini fondativi che cosa si intende per “costituzionalismo”?
Il costituzionalismo rappresenta uno dei pilastri teorici e pratici della modernità giuridico-politica. Esso nasce come reazione storica all’assolutismo e come esigenza irrinunciabile di contenere il potere attraverso la norma, trasformando la legge da strumento del sovrano a garanzia dei diritti dell’individuo. È un movimento culturale, prima ancora che giuridico, che affonda le sue radici nell’Illuminismo e trova compiuta espressione nelle costituzioni moderne, le quali non solo stabiliscono l’organizzazione dei poteri pubblici, ma, soprattutto, ne vincolano l’esercizio alla tutela della dignità umana, della libertà e dell’eguaglianza. Il costituzionalismo è, in tal senso, l’incarnazione della sovranità della ragione sul dominio arbitrario, della legge come limite e non come strumento del potere.
Professore, quale ritiene sia oggi la condizione del costituzionalismo in Italia? È ancora un paradigma vigente o è in crisi?
La sua attualità, seppur formalmente intatta, è oggi profondamente problematica. L’architettura costituzionale, costruita con sapienza dai Padri costituenti, è oggi sottoposta a pressioni sistemiche che ne mettono a rischio l’equilibrio e la tenuta. Fenomeni globali come la crescente disuguaglianza economica, il riacutizzarsi dei nazionalismi, la frammentazione del sistema politico tradizionale e l’avanzata del populismo stanno erodendo progressivamente le fondamenta sulle quali si è retta finora la democrazia costituzionale. La crisi dei partiti, la disintermediazione politica, la retorica dell’emergenza permanente pongono in discussione non solo i meccanismi di funzionamento delle istituzioni, ma anche l’adesione profonda ai valori costituzionali. È come se l’orizzonte assiologico della Costituzione, quello che un tempo era condiviso e interiorizzato, oggi fosse smarrito o percepito come ostacolo, anziché come guida.
Alla luce di queste trasformazioni, come giudica, da costituzionalista, la coerenza dell’attuale scenario politico con i principi fondativi della nostra Carta?
Vi è indubbiamente un progressivo scostamento, se non una vera e propria tensione, tra l’agire politico contemporaneo e l’impianto assiologico della Costituzione del 1948. Il principio della centralità della persona umana, attorno al quale ruotano tutti gli altri valori costituzionali – l’uguaglianza sostanziale, la libertà, la solidarietà – appare oggi indebolito, quando non apertamente contraddetto. Le crescenti disuguaglianze economiche, sociali e territoriali rappresentano una smentita quotidiana della promessa repubblicana di elevare le condizioni di vita di tutti i cittadini. E, ancor più gravemente, si affievolisce la tensione etica verso l’universalità dei diritti. In tal modo, la Costituzione rischia di ridursi a carta formale, disattesa nei fatti, e ciò interpella non soltanto i giuristi, ma l’intero corpo democratico della Nazione.
Abbiamo recentemente celebrato il 25 aprile, giornata simbolo della Liberazione e del riscatto democratico. Alla luce dell’articolo 11 della Costituzione – “L’Italia ripudia la guerra” – quale ruolo può svolgere oggi la cittadinanza attiva, per contrastare la nuova corsa al riarmo che sembra profilarsi in Europa?
L’articolo 11 della nostra Carta non è un semplice auspicio pacifista: è un impegno giuridico e morale, scolpito nella pietra della storia, che intende segnare una cesura definitiva con il passato bellicista e totalitario del nostro Paese. Eppure, oggi, assistiamo a una recrudescenza della logica della forza, alimentata da guerre di aggressione, da violazioni sistematiche del diritto internazionale, da una crescente legittimazione del riarmo come unica risposta alla crisi della sicurezza globale. Di fronte a questo scenario drammatico, la cittadinanza non può restare inerme. È chiamata a esercitare una vigilanza attiva, a pretendere che le istituzioni restino fedeli alla vocazione pacifica della Repubblica, a promuovere una cultura del dialogo e della giustizia internazionale. Solo una società civile consapevole, informata e partecipe può dare vita a quella “difesa della pace”, che è il cuore pulsante dell’articolo 11. Difendere oggi la Costituzione significa anche opporsi con forza a ogni deriva militarista, che metta in secondo piano i diritti dei popoli e la dignità umana.