di Virgilio Iandorio
Due versi posti dal poeta Patrice De La Tour Du Pin come introduzione al suo libro La quête de joie, (che potremmo tradurre “la ricerca di gioia”)
« Tous les pays qui n’ont plus de légende / Seront condamnés à mourir de froid….
sono quasi profetici per il nostro tempo. E oggi noi possiamo comprendere ancora meglio cosa significhi “morire di freddo” nelle nostre città, nei nostri paesi, dove è sempre più difficile ritrovare il senso stesso della vita.
Discendente per parte di padre da una nobile famiglia del Delfinato e, per parte di madre, dai Condorcet, Patrice De La Tour Du Pin nacque a Parigi il 16 marzo 1911. A diciannove anni divenne molto conosciuto con la pubblicazione del volume di poesie ” La Quȇte de Joie“.
Con il Concilio Vaticano II e l’introduzione delle lingue nazionali per la celebrazione della Messa, egli ha avuto un ruolo importante nella redazione della Bibbia per la liturgia cattolica di lingua francese; in particolare partecipò, a partire dal 1964, alla redazione dei Salmi nella Commission Liturgique de Traduction. Morì a Parigi il 28 ottobre 1975.
Quei due versi posti come incipit della sua raccolta di poesie sono sconvolgenti, essi hanno il senso e l’andamento di un salmo biblico. Tutto si racchiude in quei due sostantivi “leggenda” e “freddo”. Mi ricordano quel passo di Plutarco in cui si dice che c’è una città fantastica dove gli abitanti pronunciano parole che si congelano per il freddo e si scongelano con il caldo; accade perciò che le parole dette dalla gente d’inverno vengono ascoltate solo con l’arrivo della stagione calda. Nel poeta francese, però, non è data questa possibilità di “scongelamento”, perché il “freddo” di cui parla è connesso con la morte.
“I paesi che non hanno più leggenda sono condannati a morire di freddo”. Per quanto fantastiche possano essere le storie narrate, la leggenda suppone sempre un legame qualsiasi, o storico o topografico. con la realtà, uno scopo di carattere religioso o civile valido a esaltare la vita sociale del gruppo, un’amplificazione ideale di un fatto, che viene elevato a simbolo della storia, degli ideali sociali e morali del popolo che lo crea. E sotto questo aspetto la leggenda simboleggia ciò che vi è di essenziale nel pensiero e nelle aspirazioni dell’anima popolare. La leggenda lavora, anche in maniera inconsapevole, sul dato storico o sociale per innalzarlo a valore rappresentativo del gruppo in cui prende forma.
Non avere “lègende” è come non avere più una identità, non avere un’anima, non avere aspirazioni.
Parole, e versi, di un “credente” del ventesimo secolo, la cui fede non è una semplice certezza, ma una ricerca attraverso gli ostacoli, attraverso l’avventura di una parola sempre precaria: una poesia che per una volta è volutamente messa accanto alla gioia, che è uno dei nomi di Dio, in una “ricerca di gioia” dove, di fronte alla sfida delle grandi tragedie del nostro tempo, un poeta ha cercato di recuperare il senso della speranza.