Le (mancate) reazioni da parte di Renzi all’ennesima e bruciante debâcle del PD all’ultima tornata delle amministrative fanno ricordare l’insuperabile “gag” comica del grande Totò. Che, raccontando ad un amico (la sua grande “spalla” Mario Castellani) di essere stato preso a sberle da uno sconosciuto, che lo chiamava Pasquale, spiegava ridendo di non aver reagito perché tanto lui non si chiamava Pasquale.
In effetti, il Nostro, prevedendo la batosta, si era ben guardato di “metterci la faccia” – sua e del partito -, proprio per evitare di dover poi fare un’analisi politica dell’accaduto e di doverne rendere conto, se non al partito (che s’identifica sempre più con la sua persona e con il suo ristretto “giglio” ormai ex “magico”) almeno all’opinione pubblica. Si tratta, in effetti, dell’ennesima riprova della fragilità politica di un mancato leader, che non si rassegna all’inevitabile tramonto e che, dopo aver lasciato un Paese sull’orlo del baratro economico e istituzionale, senza nemmeno uno straccio di legge elettorale, non mira ad altro che a riconquistare il potere, immaginando che questo sia il toccasana miracoloso di tutti i problemi.
Così facendo, come un bambino cattivo e viziato, che si diverte a rompere i giocattoli che gli regalano, Renzi proseguirà la sua corsa fino a che non avrà finito di “rottamare” il partito e (Dio non voglia) l’intero Paese. Che questo gli sia consentito dagli eredi, sia pur degeneri, delle due più grandi e antiche scuole politiche italiane, quella cattolico-democratica e quella marxista, confluite entrambe nel PD, dimostra il tracollo delle classi dirigenti e la scomparsa di ogni costume politico, e soprattutto spiega la crisi profonda che vive il sistema politico-istituzionale dell’Italia. Crisi confermata, tra l’altro, dal sempre crescente astensionismo, che assume ormai le forme di un vero e proprio “sciopero elettorale” del popolo italiano. Un segnale inquietante, che dovrebbe far meditare chi è ancora in condizione di riflettere e di ragionare.
edito dal Quotidiano del Sud
di Francesco Barra