E’ la prima volta, nella storia dell’Italia repubblicana, che due partiti, che non hanno nulla in comune fra loro e che si sono presentati alle elezioni in contrapposizione, si mettono insieme perché hanno la maggioranza in Parlamento. L’anomalia consiste nel fatto che, invece di concordare un programma comune, sottoscrivono un “contratto” nel quale ognuno di essi persegue il proprio programma elettorale a prescindere, anche se in antitesi l’uno dell’altro. Per la prima volta i due capipartito, che assumono le funzioni di vice – per i veti incrociati sulla guida del Governo- nominano i ministri e il Premier che, di fatto, (contrariamente ai dettati costituzionali) non dirige la politica generale del governo, né mantiene l’indirizzo politico, ma accetta di fare l’uomo di paglia fino a farsi dare in una seduta del Parlamento europeo da Verhofstadt capo dei liberali belgi – anche se con indubbio gusto istituzionale- del “burattino nelle mani di Salvini e Di Maio”.
Nella prima Repubblica ci si sforzava di perseguire un indirizzo uniforme del governo che si andava a formare, magari inventandosi le “convergenze parallele” i governi “balneari”, quelli di attesa, di minoranza, del Presidente, ma mai pensavano che potessero allearsi forze diverse come il PCI (marxista) e la DC per la sola ragione che in Parlamento non ci fosse un’altra possibile maggioranza. La giustificazione dell’impossibilità di alternative non regge perché in democrazia c’è sempre un’alternativa possibile, se non fosse altro che ritornare ad elezioni. La strada che si è praticata, invece, ci ha portato, di fatto, ad un non governo; all’isolamento in Europa, alla sfiducia dei mercati, all’indebolimento delle alleanze tradizionali consolidate, all’abbandono di qualsiasi politica estera, all’esercizio di una ininterrotta campagna elettorale nella quale si assecondano le pulsioni anche quelle meno nobili dell’elettorato di base. Le incompatibilità sono molte e non soggette ad un componimento. Non si può perseguire contemporaneamente l’aumento delle uscite (reddito di cittadinanza, quota cento) e la contrazione delle entrate (flat tax). I due partiti non vanno d’accordo su nulla. Rappresentano due mondi diversi: Salvini il ricco nord, anche se gli sprovveduti meridionali (che non puzzano più!) cominciano a votarlo in massa considerandolo – come hanno fatto precedentemente con Berlusconi e Renzi – l’uomo della Provvidenza. Quando si ricrederanno sarà troppo tardi se non si troverà una soluzione dopo le elezioni europee. Intanto siamo alla recessione, non più tecnica, ma reale e la crescita miracolosa del PIL a cui credono solo Conte e Di Maio, sarà la più bassa dell’area Cee, inferiore perfino a quella della Grecia. I provvedimenti del reddito di cittadinanza (una scommessa tutta da verificare per il clientelismo e lo sfascio della burocrazia meridionale!) e quota cento non potranno essere rifinanziati nel prossimo anno nel quale ci sarà bisogno di una manovra di bilancio lacrime e sangue se non si vuole sfondare, oltre ogni misura il debito pubblico, anche vendendo – come si paventa- l’oro della riserva della Banca d’Italia.
Del resto non vanno d’accordo su nulla, neanche sulla apertura domenicale dei negozi, per non parlare del TAV Torino Lione dove le cifre ballano tra esperti e politici. Non parliamo delle intese tra alcune regioni del Nord (Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna) che molti ritengono un grave vulnus alla Costituzione ed una avvio concreto alla secessione delle regioni ricche da quelle povere del mezzogiorno, come scrive Gianfranco Viesti in un suo recente saggio. L’Italia sta correndo verso il precipizio, non solo economico ma istituzionale, con il tentativo di ridimensionamento del Parlamento e le proposte di democrazia diretta che sostituirebbe quella liberale e parlamentare che la Carta costituzionale dichiara immodificabile. Questi signori – è del tutto evidente – non conoscono la storia del pensiero liberale, né hanno mai letto Locke, Montesquieu, Kant, Humboldt, Bentham, Constant, e neanche “La democrazia in America” di De Tocqueville, che pure è conosciutissimo, né i filosofi del novecento. Si sono fermati – per una naturale predisposizione d’animo- all’ “Homo homini lupus” di Hobbes, come dimostrano le insofferenze verbali, l’odio, l’indifferenza e il nessun rispetto alla persona dei poveri stranieri ai quali si rifiutano le case popolari (vedi Piazza Pulita di Formigli dello scorso giovedì o l’episodio della scuola di Lecco dei bambini allontanati dalla mensa scolastica) perché non sono in grado di produrre un certificato (previsto da un regolamento regionale, che altri Comuni, come Milano, non richiedono) che attesti la non proprietà di immobili nei loro Paesi di origine, perché alcuni Stati non li rilasciano. La meschina giustificazione è che non è un problema loro: si arrangiassero e, comunque, “prima gli italiani”. Questa è la Lega che chiude i porti, sequestra quelli che stanno a bordo della nave Diciotti e che, con il decreto sicurezza, mette sulla strada, spingendoli all’illegalità, quelli che già sono in Italia e non riesce ad espellere, e tratta con cinismo e disumanità chiudendo gli Sprar e facendo finire esperienze riconosciute ed apprezzate in tutto il mondo come quella del Sindaco di Riace.
Può il M5S e Di Maio governare con la Lega finendo per essere succube di Salvini e pagando un pedaggio salatissimo (vedi Abruzzo!)? Non conviene staccare la spina? Dopo le elezioni europee, comunque, va trovata una soluzione. Non si può lasciare al povero Mattarella il fardello di rappresentare, da solo, l’Italia e di coprire con il suo prestigio e la sua azione le malefatte e le improntitudini dei due “bocconiani” senza laurea per salvaguardare il buon nome dell’Italia nel mondo!
di Nino Lanzetta