Il M5s, più che il risultato amministrativo con i suoi voti perduti, anzi non conquistati, deve temere l’impressione di contraddittorietà che sta montando rispetto all’immagine complessiva della sua presenza politica. Troppi i cambiamenti e le incertezze emersi nelle ultime settimane, che vanno ad aggiungersi ai tradizionali dubbi sulla effettiva capacità di tenuta del movimento e sulla sua democrazia interna. Solo sei mesi fa, in occasione dell’incontro in Vaticano con i sindaci europei, la sindaca della capitale Raggi aveva rivendicato che “Roma è una città aperta all’accoglienza. Disponibile al dialogo, al centro di migrazioni e scambi sociali ed economici tra diversi popoli…Vogliamo che tutti possano avere un tetto sulla propria testa”.
Nei giorni scorsi, invece, ha chiesto che il Ministero dell’Interno limiti la presenza dei migranti. Una svolta contraddittoria e non spiegata, che oltretutto ha rinfocolato l’ennesima ondata di sospetti e dicerie sulla eterodirezione dell’amministrazione capitolina. Aggravata dalla perentoria richiesta di Grillo di chiudere i campi rom. Senza contare, infine, la contraddittorietà tra il futuribile piano di sviluppo dei trasporti della Capitale (con funivie varie) e una quotidianità, tra rifiuti e trasporti, ancora densa di criticità. In questo quadro, già turbato, si è inserita l’annunciata astensione del M5S (che al Senato equivale a voto contrario) nella battaglia condotta dalla Lega sullo ius soli e sfociata in una gazzarra infinita con improbabilissimi ed esibiti ferimenti. Una posizione che ha rilanciato interrogativi e accuse sulla svolta a destra del movimento.
La feroce polemica con “La Repubblica” sul presunto incontro Casaleggio-Salvini è stata indicativa della portata della posta in gioco. Infatti, ogni accostamento a posizioni di destra (in questo caso la Lega) o di sinistra dei grillini genera un’atmosfera da “chi tocca i fili muore”, perchè genera immediate ricadute di carattere elettorale. Insomma, il M5S può essere una forza che riscuote consenso solo se mantiene la sua pretesa caratterizzazione post-ideologica e la conseguente non-collocazione nello schieramento parlamentare.
L’incontro di Di Maio con gli ambasciatori dei Paesi Ue ha permesso, almeno, di capire meglio la politica europea del Movimento. Il M5S non nutre (come invece la Lega) alcuna ostilità all’Europa, ma si batterà per superare il regolamento di Dublino che trasferisce il peso dell’accoglienza sul Paese di primo sbarco. Altrettanto forte l’impegno per superare altri vincoli europei, come il pareggio di bilancio in Costituzione e tutto il Fiscal compact.
La richiesta grillina è di permettere che l’Italia possa spendere in deficit per investire risorse in welfare, lavoro e imprese. Dopo aver accennato alla possibilità di un esercito comune per operazioni di pace, Di Maio ha affermato che l’abbandono della moneta unica è solo l’extrema ratio. Insomma, la sensazione è stata che sul fronte della permanenza in Europa la posizione pentastellata é tutto sommato abbastanza realistica.
Permangono invece dubbi e incertezze sulla fondamentale questione della alleanze. Finora si sono alternati decisi no a qualsiasi intesa organica con i partiti esistenti e timide assicurazioni (ad alto livello) sulla eventualità di stipularne qualcuna fondata su possibili programmi di governo. Forse la soluzione al rebus potrebbe trovarsi, nel nondetto grillino, in un eventuale accordo programmaticopost-elettorale con le forze disponibili a condividere l’attuazione dei punti più significativi dell’agenda pentastellata. Ma sarà questa davvero la prospettiva favorita o consentita dal responso elettorale?
edito dal Quotidiano del Sud
di Erio Matteo