Di Gianni Festa
Metti una sera a cena. A Montefredane dove alcuni giovani hanno deciso di attrezzare un’area turistica con tanto di ristoro. Il sindaco, Ciro Aquino, avvocato, fa da addetto all’accoglienza. Ghiotta occasione per un giornalista intrattenersi con il primo cittadino per approfondire il concetto del “mestiere di sindaco”. La discussione prende avvio con una critica nei confronti della burocrazia. Aquino ne è prigioniero. Ne parla con disappunto, anzi, con sofferenza. Per ogni opera da realizzare sono necessari mesi tra autorizzazioni, visti, bolli e carte che si rincorrono. Poi quando tutto sembra in regola, interviene il pierino di turno che chiede altre carte. In questo modo, dice il sindaco Aquino, la burocrazia sconfigge la volontà del fare. Non solo la burocrazia. È soprattutto la “solitudine” che rende amaro il mestiere di sindaco. I progetti, una volta realizzati, devono essere seguiti per essere finanziati. A chi rivolgersi? E su questo la riflessione diventa complessa. Riguarda la classe dirigente. Essa dovrebbe garantire il proprio impegno per il territorio e invece si preoccupa del proprio tornaconto. Almeno oggi è così. Ieri c’erano De Mita, Bianco, De Vito e altri i quali a loro modo davano una mano. Ora è solo un deserto. Gli attuali referenti delle forze politiche regionali e nazionali si presentano solo per raccogliere il consenso. Ma Aquino, come altri sindaci irpini, non si rassegna. Bisogna correre nella sede della Regione, intervenire presso un ministero ed ecco che, senza rassegnarsi, si mette in moto e corre per sollecitare, chiarire, dare spiegazioni, risolvere un problema per i suoi cittadini. E la sua professione di legale? Messa da parte con conseguenti introiti. C’è da seguire i progetti del Pnrr, da difendere l’Autonomia differenziata regionale per evitare che il Sud e i suoi Comuni siano penalizzati dall’arroganza leghista del Nord; c’è da approfondire le normative che quotidianamente dettano nuove regole ed ecco che il mestiere di sindaco si diversifica diventando alla stregua di quello di un capitano d’azienda. Come fare se il personale è insufficiente? Ne assumi altro nel segno della precarietà. Occorre un bando. Passa del tempo. Le casse comunali diventano sempre più snelle e poco manca che si arrivi al default. E allora cambia tutto. Subentra lo sconforto. Ciro Aquino, sindaco di Montefredane, lascia cadere le mani sul tavolo e si chiede: ne vale la pena? E pensa di mollare. Ma è solo un attimo. Poi riguadagna la ferrea volontà di lavorare per la sua comunità, per rendere il paese sempre più accogliente, ritenendo che il dovere della responsabilità venga prima del pessimismo di lasciare. Ciro Aquino è uno dei tanti sindaci che oggi hanno trovato il coraggio di scendere in campo per rivendicare un ruolo da protagonisti rispetto agli impegni che devono assolvere. I Comuni, infatti, sono un reticolo straordinario per la vita democratica dell’Italia. Per decenni, salvo rare eccezioni, essi hanno garantito il bene sociale dovendo lottare talvolta tra incomprensioni e sottovalutazione del ruolo svolto. Non sono solo serbatoi di consenso elettorale, ma contribuiscono ad alimentare la crescita delle comunità nell’interesse della nazione. Vivono di conflittualità sia con le Regioni che li schiacciano nei loro problemi, sia con lo Stato che spesso tarda a capirne le esigenze. Non sempre però è così. Questo infatti non è un mero elogio dei primi cittadini solo in quanto tali. Anzi. Alcuni sindaci, è noto, si mettono in mostra solo per perseguire le proprie ambizioni, utilizzando la “semplicità” delle loro comunità per i propri affari. Per fortuna a questa categoria appartengono pochi riconoscibili soggetti. La maggior parte degli amministratori dei piccoli Comuni irpini, invece, pare davvero mettersi in gioco per la crescita della vita civile, si fa riferimento certo per la propria comunità in una “trincea del fare” alla quale guardare con sempre maggiore attenzione.