Questa mattina, nel Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in Udienza la Comunità Monastica dell’Abbazia di Montevergine. Nelle sue esortazioni il Papa ha invitato i monaci benedettini con l’abate Riccardo Guariglia a rimanere fedeli alla propria identità, e a non conformarsi agli stili del mondo.
Queste le sue parole, che riportiamo integralmente:
“Do il benvenuto a tutti voi, al Padre Abate, ai monaci e ai collaboratori. Avete voluto questo incontro in occasione del Giubileo per il nono centenario di fondazione dell’Abbazia di Montevergine, avvenuta nel 1124 ad opera di San Guglielmo da Vercelli.
All’origine della vostra storia non ci sono miracoli o eventi straordinari, ma la sollecitudine di un Pastore, il Vescovo di Avellino, che volle costruire, in quel luogo elevato, una chiesa e raccogliervi un piccolo numero di persone al servizio di Dio, per farne un centro di preghiera, di evangelizzazione e di carità. Vorrei perciò sottolineare, in questo nostro incontro, l’importanza di queste due dimensioni nella vostra vita e nel vostro apostolato, e lo faccio con alcune parole attribuite a Sant’Agostino: «Esto donum Deo ut sis donum Dei», fatevi dono per Dio, per essere dono di Dio.
Farsi “dono per Dio”. È il senso della vocazione monastica, che mette alla radice di ogni azione l’ opera di Dio, e cioè la preghiera, a cui San Benedetto raccomanda di non anteporre nulla (cfr Regola 43,3). Il Santuario della Madonna di Montevergine, posto in alto, come una vedetta, è visibile da tutta l’Irpinia, e i fedeli vi accorrono, spesso a piedi, per trovarvi consolazione e speranza, per ricevere durante il pellegrinaggio nuova forza, come ancora oggi ricordano molti canti tradizionali, anche dialettali, che accompagnano i pellegrinaggi. Ad accoglierli c’è la bellissima icona della Madre di Dio, con i suoi grandi occhi a mandorla, pronti a raccogliere lacrime e preghiere, che mostra a tutti, sulle sue ginocchia, il Bambino Gesù, il Figlio di Dio fatto uomo. Ebbene, farsi “dono per Dio” vuol dire pregare per avere anche voi quegli occhi grandi e buoni, e per mostrare, a chiunque incontrate, come Maria, il Signore, presente nei vostri cuori.
Durante la seconda guerra mondiale, la vostra comunità ha avuto la grazia di accogliere la Sacra Sindone, portata in segreto presso il vostro Santuario, perché vi fosse custodita e venerata, al sicuro dal rischio dei bombardamenti. Anche questa è un’immagine bellissima della vostra vocazione primaria: custodire l’immagine di Cristo in voi, per poterla mostrare ai fratelli.
Poi il secondo punto: essere “dono di Dio”. Donarsi cioè con generosità a chi sale al Santuario, perché, accostandosi ai Sacramenti dell’Eucaristia e della Riconciliazione, si senta, nell’attenzione e nella preghiera, accolto e portato sotto il manto della Madre di Dio. E l’essere monaci, fisicamente lontani dal mondo, ma spiritualmente vicinissimi ai suoi problemi e alle sue angosce, custodi nel silenzio della comunione con il Signore, e al tempo stesso suoi ospiti generosi nell’accoglienza degli altri (cfr Regola 53,1), e questo può rendervi, per chi vi incontra, un segno vivente ed eloquente della presenza di Dio. Perciò, cari fratelli, vi raccomando di non cedere alla tentazione di conformarvi alla mentalità e agli stili del mondo, di lasciarvi trasformare costantemente da Dio, rinnovando il vostro cuore e crescendo in Lui (cfr Rm 12,2), perché chi viene da voi in cerca di luce non resti deluso.
Cari amici, a Montevergine avete la fortuna di essere ospiti nella Casa di Maria, di vivere sotto il suo sguardo misericordioso, custoditi da “Mamma Schiavona”, come affettuosamente è chiamata. Fate tesoro di questo dono e coltivatelo in voi per poterlo condividere con tutti. Vi ringrazio di essere venuti. Vi benedico di cuore. E vi chiedo per favore di pregare per me. Grazie!”.