Di Gianni Festa
In queste ore tiene banco il saggio del governatore della Campania, Vincenzo De Luca, dal titolo “Nonostante il Pd”. Si tratta di una riflessione a tutto campo dell’Italia di oggi, delle sue fragilità, della politica che non c’è e, soprattutto, di un impietoso attacco al Partito democratico, lo stesso che gli ha consentito di assurgere ai vertici delle Istituzioni. In una società prevalentemente priva di pensiero, incapace di approfondire, come si dovrebbe, i temi della crisi sociale, il saggio sta riscuotendo un discreto successo. Esso, a mio avviso, corrisponde a quel desiderio di autolesionismo che rende anche gli astuti in cerca di potere eroi per caso. Ai più che seguono le vicende politiche, in realtà sempre meno, De Luca appare come un un protagonista forte, un soggetto che sa bene cosa vuole e come lo vuole, un personaggio in sostanza che entra a far parte della categoria dell’uomo forte tanto presente nell’inconscio degli italiani che mostrano grande preoccupazione per come vanno le cose nel Paese: cioè male. Ed ecco allora che anche chi esprime la mediocrità e la furbizia assurge al ruolo di salvatore della Patria. Nella sua critica serrata al Pd Vincenzo De Luca analizza, tra l’altro, il dissenso verso l’attuale segreteria del partito bocciandola con le sue solite colorite espressioni che sono, purtroppo, elemento di diseduca- zione nella vita democratica. Non che egli abbia tutti i torti, ma è evidente che le sue accuse sono le stesse che gli si potrebbero riversare contro per come egli gestisce il potere. Nel coro di consenso che accompagna la sua fatica editoriale, e con la quale egli cerca di lanciare un avvertimento, nel significato più appropriato del termine, De Luca non usa carezze, ma taglienti sciabolate, senza mai documentare con risposte convincenti le accuse a lui rivolte. Elude, ad esempio, il tema contestatogli del familismo amorale che è, in realtà, ciò che egli ha privilegiato nel comporre il suo sistema di potere. Ciò senza entrare nel merito della qualità di chi egli ha voluto nelle istituzioni democratiche. Allo stesso modo egli è sfuggente sulle motivazioni che ripropongono la questione meridionale come condizione di subalternità del Sud rispetto al Nord. Mi spiego. Uno dei mali che hanno condannato il Mezzogiorno d’Italia rispetto al resto del Paese è il clientelismo che talvolta si accompagna al trasformismo. Nella realtà il sistema di potere del governatore si fonda essenzialmente su questi mali. Che la classe dirigente del Sud sia affetta dal male del clientelismo è scritto nelle tan- te inchieste giudiziarie che affollano gli archivi dei tribunali meridionali. De Luca ha sostanzialmente reso più sofisticato il “sistema” organizzando l’occupazione dei territori con responsabilità affidate a suoi fedelissimi che devono dare conto solo a lui in cambio di privilegi da lui concessi. Ecco allora che la sanità è governata da riferimenti “ad personam,” lo sviluppo assume direzioni contro le zone interne, il dimensiona- mento scolastico non tiene conto delle reali esigenze del territorio e così via. Ovvia- mente questo modo di procedere si avverte maggiormente nelle zone di notevole densità di popolazione che corrispondono alla possibilità di guadagnare maggiore consenso. Comportandosi in questo modo De Luca ha reso possibile il suo agire per il potere, rendendo il suo desiderio del terzo mandato ad un passo dalla realtà. Certo, sarà difficile che ciò avvenga senza l’apporto del Pd. Ed ecco il “coupe-de-théatre” dello sceriffo lucano: trasformare il Pd secondo i suoi voleri per portare a compimento la sua strategia. E il Partito democratico? Per ora ha messo i remi in barca in attesa del saggio del governatore. Si vedrà a cominciare dalle prossime ore quale sarà l’esito finale dello scontro. Soprattutto per quanto riguarda il futuro della Campania e del Mezzogiorno d’Italia alle prese con il rinnovamento della classe dirigente.