E’ un invito a non arrendersi alla complessa realtà di un Sud che continua a restare indietro, ad una democrazia sempre più malridotta, ad una politica incapace di difendere i diritti dei cittadini, quello che lancia Gerardo Vespucci nel suo volume “Il Sud del nostro scontento”, Urbone Publishing. Il titolo fa il verso ad una frase del re Lear di Shakespeare, a ribadire la volontà di guardare al presente, al qui ed ora ed armare“le proprie capacità critiche conoscitive ed anche i sentimenti morali che ci portano a combattere le ingiustizie e le oppressioni di ogni tipo”. A prendere forma una riflessione sulle prospettive delle aree interne nella convinzione che la scrittura diventi antidoto contro la disperazione e si faccia autentica chiamata alle armi “La vita nei nostri paesi sta diventando sempre più ripetitiva, asfittica, sempre più povera di stimoli – scrive Vespucci – di occasioni e di confronti: essa è come un morire, rendendo concreto quel verso di Ungaretti usato dal poeta in ben altro contesto, la morte si sconta vivendo”.
Non ha dubbi l’autore, la libertà continua ad essere un valore da difendere, soprattutto nel momento in cui imperversano intelligenza artificiale e fake news e mettono in discussione la nostra capacità di interpretare il reale “Il pericolo più grande, infatti, è proprio quello che, nei prossimi anni, complice una gioventù sempre più anonima, si imponga un pensiero unico, una rinuncia progressiva alla libertà di pensiero, anche senza le modalità violente conosciute nel secolo scorso a causa delle diverse forme di autoritarismo e dittature che l’Europa ha conosciuto, dall’Italia alla Spagna alla Germania, alla Unione Sovietica, pur con le varie sfumature”.
Il saggio di Vespucci, che ha dedicato la sua vita alla scuola come docente e poi dirigente scolastico, in prima linea nelle battaglie in difesa dei territori, raccoglie articoli, interventi e semplici riflessioni pubblicati su giornali, sia cartacei che on line, lungo un periodo compreso tra la seconda metà del 2020 ed oggi, febbraio 2025. Un libro che rappresenta l’ideale prosecuzione del volume “Segni nel tempo”, antologia di scritti dal 1977 al 2019, ma meno ambizioso se è vero che non pretende più di essere l’Autobiografia di una generazione. E’ lo stesso autore a spiegare come in un tempo come quello in cui viviamo sia sempre più difficile dare voce alla collettività “mi vado sempre più rendendo conto che nel tempo presente bisogna finalmente parlare in prima persona, per riprendere nelle proprie mani le armi della critica, assumendosi anche qualche rischio di fraintendimento se non di ripulsa. E così, quello che leggerete lo ascrivo totalmente alla mia assoluta responsabilità.
E la prima affermazione che mi sento di fare è che il tempo attuale, figlio di una rivoluzione tecnologica senza pari, com’è quella digitale, mostra una notevole riduzione degli spazi sociali e, di conseguenza, una chiusura dei singoli nel proprio privato che, per molti critici, si racchiude con un neologismo, nel presentismo, ossia in un eccesso di presente, nel senso che – specie i giovani – le persone hanno man mano ridotto l’orizzonte dei propri interessi, distogliendo lo sguardo dai tempi lunghi: nei loro pensieri non c’è più l’attesa di futuro, con il patologico effetto collaterale di recisione di ogni rapporto col passato”.
Centrale resta la consapevolezza della necessità di arrestare la desertificazione e governare lo sviluppo dei territori, dando una nuova speranza all’Alta Irpinia, mettendo da parte piagnistei e lamentazioni. Così nella lettera al presidente della Regione Vincenzo De Luca, Vespucci ricorda come “la percezione dell’ente Regione Campania, visto dall’Alta Irpinia (Ruvo Del Monte compreso), è quella di un ente lontano, estraneo, indifferente alle sorti dei suoi cittadini, al limite della ostilità”. Il riferimento è allo scarso sostegno arrivato dalla Regione ai territori altirpini, con un progetto come quello dell’Area Pilota incapace di tradursi in soluzioni concrete. Inevitabile, dunque, che nelle aree interne tutto sia rimasto o meno come era, dall’arretratezza delle reti digitali all’inadeguatezza del sistema scolastico e sanitario “Nel merito, questa seconda ondata (….)- scriveva Vespucci – ci sta dicendo che comportamenti irresponsabili possono far saltare la fragile struttura ospedaliera della nostra Regione proprio per la sua anomala distribuzione abitativa – col duplice problema di aree super affollate da un lato e di aree prive di strutture adeguate dall’altro”.
Grande l’amarezza di chi non si riconosce più nella politica attuale come nella lettera a Sergio Staino, compagno di fede politica, più volte ospite di Vespucci a Sant’Andrea di Conza. Sono le parole di un ex comunista che ha creduto con forza nel valore della politica ma oggi fa fatica a identificarsi nella sinistra, a partire da un Pd che non riesce a dialogare con i territori, in cui i candidati sono imposti dall’alto “Mi vado sempre più convincendo che di quell’etica assoluta del PCI, che ci rese una comunità fraterna, non sia rimasto quasi nulla e che i cosiddetti compagni, nel momento in cui scoprono il potere, sono posseduti da una metamorfosi che li porta nel giro di pochi mesi a passare dal noi all’io, dal bene comune a quello personale: non necessariamente di natura venale, ma senza dubbio di forte narcisismo, in ossequio al detto siciliano che “Cummannari è megghiu ‘ca futtiri”. Malgrado ciò, Vespucci non si stanca di ragionare su strategie possibili per rilanciare i borghi, che uniscano, cultura, economia e sociale, dalla proposta di un Centro Studi Sociali con l’obiettivo di avviare un’analisi attenta dei territori e costruire un punto di vista unitario all’idea di un turismo legato alla natura e ai ritmi lenti, nel segno dell’accoglienza e del miglioramento della qualità dei servizi. Così è possibile immaginare che la fuga dei cervelli si sia arrestata a più di 40 anni dal sisma, che i giovani possano decidere se scegliere o restare, anche grazie alla nascita di centri di ricerca, che le aziende siano finalmente decollate e che nuove imprese legate alle nuove tecnologie, dall’informatica alla maccatronica, siano nate, fino al potenziamento dei trasporti, in un sogno bellissimo a cui si abbandona Vespucci per poi scoprire che nulla è reale. Non risparmia stilettate a chi ha voluto interpretare il posterremoto in maniera semplicistica “ i dati relativi allo spopolamento a fronte di una spesa simile dicono che, e questo, sì, dovrebbe essere condiviso, chi era allora al governo (dal latino, timone!), ha portato la nave a sbattere, e quindi ha fallito l’impresa”.
Ribadisce come il proprio impegno per le aree interne sia stata una vera “scelta di vita”, totalizzante, che, forte già negli anni ’70, si alimentò ulteriormente a partire dal 23 novembre 1980. Ricorda come, se è vero che nella ricostruzione post sisma, prevalsero gli interessi di pochi, successivamente “molti di noi si resero conto che senza una soluzione d’insieme non avremmo creato le condizioni per una ricostruzione avanzata ed uno sviluppo duraturo: nelle discussioni pubbliche, di massa, che erano vivaci quasi in ogni paese distrutto o danneggiato, si giunse anche a prospettare una sorta di “frammento di città”, con servizi diffusi nel territorio, ma non da riprodurre ovunque come tanti doppioni: si indicarono alcune opere pubbliche a servizio di ampie zone limitrofe, come ad esempio gli stadi, le piscine, i centri di raccolta differenziata fino alla individuazione di aree PIP intercomunali. Purtroppo, prevalse una visione opposta, riduzionista e puntiforme dei problemi e, lasciando mano libera ai singoli Comuni, senza una regia d’insieme, si spesero miliardi in opere pubbliche spesso inutili e disarticolate”.
Dal ricordo di Mario Salzarulo e Gerardo Ceres all’emergenza dimensionamento scolastico, dalla difesa del baluardo della cultura rappresentato al Multisala Nuovo alla necessità di conciliare tecnica e umanesimo fino al dibattito su Sant’Andrea capitale della cultura, Vespucci non smette di far sentire la sua voce. Poichè sa bene che l’unica strada per rivitalizzare i territori e restituire un senso alla politica e un futuro ai territori è ripartire dalle forme associative come i partiti e far vivere il confronto nei circoli, nelle sezioni, nelle assemblee.